16 feb 2020
Non età dell’oro, non paradiso terrestre. Dunque?
Il corso della storia (1)
È strano. Seguendo i miti di tante culture sembra che l’umanità voglia conservare il pensiero che in principio tutto era buono. Di fronte alla questione del bene e del male, al perché la vita debba coesistere con la morte, la mente si ritrova indifesa. Incapace di una risposta soddisfacente.
Le religioni e le filosofie che nel tempo ci siamo costruiti sembrano marciare in direzione opposta alla cosmologia e alla paleoantropologia, le scienze che studiano l’origine e l’evoluzione dell’universo e dell’umanità (da kòsmos universo, palaiòs antico, ànthropos uomo, e lògos studio). Il pensiero sembra riposare meglio in un viaggio che veda all’origine la perfezione e solo successivamente, per cause sconosciute – che, a seconda delle tradizioni, vanno dall’invidia degli dèi per gli umani a colpe e responsabilità dell’uomo stesso – siamo giunti allo stato di imperfezione che oggi ci definisce. Salute accanto a malattia, benessere accanto a disgrazie, felicità mano nella mano con il dolore e la disperazione.
Eppure mentre i miti – l’età dell’oro, il paradiso terrestre, solo per citare quelli a noi più vicini – parlano di un tempo e di uno spazio originari in cui tutto è perfetto, dove regnano ordine e armonia, le conoscenze scientifiche ci parlano, da parte loro, di un’origine in cui tutto è indefinito. Nel caos. Dove particelle e energia si confondono l’una con l’altra. Con incontri e scontri senza un’apparente legge che ne regoli il funzionamento. Salvo quella del caso. Incontri e scontri casuali che danno origine, di volta in volta, a forme destinate le une a procedere, accanto ad altre cui non resta che scomparire. Il tutto senza un apparente logica o un ipotizzabile significato.
Gli stessi organismi superiori, tra i quali anche noi ci ritroviamo e nella cui scala abbiamo deciso di porci sul gradino più alto, appaiono in tempi assai recenti. E anch’essi come risultato di combinazioni casuali. Specie viventi che appaiono e scompaiono. In processi evolutivi fondati su un’interazione continua tra le specie medesime e l’ambiente circostante. In reciproca interdipendenza. Dove abitanti e abitazione, specie viventi e ambiente, sottostanno alla legge della sopravvivenza o della scomparsa.
Perfino la nostra origine si perde nel tempo. Dodici specie diverse sono state finora individuate del genere homo. Il cui cervello pare abbia iniziato la sua evoluzione 2milioni di anni fa. Dall’australopithecus all’homo abilis, dall’homo erectus al sapiens, dal sapiens idaltu al sapiens sapiens, nostro diretto progenitore, di cui abbiamo indizi che risalgono ad appena 200mila anni fa. Accanto – si fa per dire accanto: decine o centinaia di migliaia di anni separano una specie dall’altra, oltre a distanze geografiche infinite per quegli ominidi – all’homo neandertaliensis o ad altre specie, scomparse dopo aver lasciato appena qualche traccia del loro passaggio. Per arrivare a Ötzi, ritrovato sulle nostre Alpi nel 1991, giovanissimo: vissuto appena 5mila200 anni fa – anno più anno meno, è il momento in cui abbiamo iniziato a... scrivere e leggere!
Un altro aspetto curioso della nostra evoluzione, che tuttora ci portiamo dietro nonostante i 200mila anni d’età, è la disarmonia nel nostro sviluppo individuale. Il cervello per giungere a maturazione impiega due decenni dopo la nascita, quando già altre capacità dell’organismo sono ampiamente disponibili: nella prima adolescenza, intorno ai 12, 14 anni siamo già in grado di procreare, per esempio. Anche la nostra specie dunque piuttosto lontana dalla decantata perfezione di un’età dell’oro o di un paradiso terrestre. Un cammino in salita e accidentato piuttosto. Un viaggio nella storia, e nella vita, tra tentativi, successi ed errori.
Perché queste riflessioni? Due i motivi principali per ascoltarle e condividerle con voi. Oggi li indico soltanto. Li riprenderemo la settimana prossima.
Il primo motivo. Non è facile per la nostra mente conciliare due aspetti che appaiono in conflitto l’uno con l’altro. Da una parte il fatto che il processo evolutivo dell’universo, storia dell’uomo compresa, sembra guidato da pura casualità. Dall’altra il bisogno della nostra mente di trovare un filo conduttore che abbia significato. Il nostro pensiero non sa accettare che il tutto sia semplice risultato di fattori casuali. Ha bisogno di trovare una logica. Nella ricerca scientifica come in quella filosofica.
L’altra ragione che mi porta a richiamare questi pensieri nasce da un’urgenza, per noi cristiani, di restituire alla Bibbia la sua dignità di testo di teologia, liberandola da letture storico scientifiche che non le appartengono. E che sono state, e spesso continuano ad essere, fonte di equivoci, di derisioni o, in tempi e modi diversi, ragioni sufficienti per giudizi, processi o addirittura condanne.
(1. continua)