8 mar 2020
Un 8 marzo ai tempi del Covid19. Per non soffocare
Il femminile dell’uomo
C’è anche un 8 marzo. Sì, pur ai tempi del Corona Virus, c’è un 8 marzo. Come... l’amore ai tempi del colera![1] Ora non siamo nel colera, ma il bombardamento mediatico è stato ed è così tanto che rischia di farci perdere tutte le nostre coordinate. In casa, per strada, al lavoro, tra amici... ci segue ovunque. Come un’ombra. Minaccioso e tremendo. Covid19. Chi non lo conosce? Forse meglio, chi lo conosce? Visto che anche gli esperti ci offrono punti di vista diversi.
Ma oggi è l’8 marzo. Giornata di riflessione sulla condizione femminile. In Italia. Nel mondo. In casa e fuori casa. E di un 8 marzo abbiamo ancora bisogno. Oggi quindi, pur sempre in guardia da questo sconosciuto che continua ad aggirarsi tra noi, ci concediamo una pausa. Per guardare come ancora il femminile dell’homo sapiens faccia fatica ad emergere e a respirare di vita propria.
Per cogliere questa fatica facciamo un salto nel passato. Riascoltiamo quello straordinario racconto di saggezza che è il mito biblico delle origini.[2] Gli abbiamo fatto dire di tutto, equivocando sul genere letterario. Confondendo mito e storia. Dimenticando che i miti non ci narrano fatti realmente accaduti, ma attraverso un racconto, ci dicono della riflessione che, nel trascorrere del tempo, l’umanità fa su se stessa. Alla ricerca di una possibile risposta alla domanda che ci accompagna fin dal momento in cui abbiamo raggiunto la consapevolezza, e ci accompagnerà nei millenni che avremo ancora davanti: chi sono io?
Nel tempo a questo mito abbiamo fatto dire di tutto, dicevo. Siamo arrivati a ritrovarvi l’origine del dolore e della sofferenza. Perfino della morte. E la colpa di tutto ciò? Nessun dubbio. Della donna! Perfino Paolo di Tarso cade in questo pregiudizio: «non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione», scrive al suo discepolo Timoteo.[3] Niente di scandaloso che venti secoli fa si potesse leggere un mito come fosse un racconto storico. Piuttosto scandaloso, direi, che nel XXI secolo si possa ancora cadere in questa confusione.
Tre personaggi vi appaiono. Ciascuno rappresenta una dimensione dell’essere umano: il maschile, il femminile e la coscienza critica. Sono un uomo, una donna e un serpente. Quest’ultimo è «il più saggio tra tutti gli animali della campagna» dice il testo. L’ebraico arùm e il greco frònimos significano saggio, assennato, prudente. È il primo dialogo. I soggetti? La donna e il serpente: la femminilità e la saggezza. Il maschile tace e... sta a guardare. Pronto poi ad attribuire a lei la colpa di ogni errore.
Eppure tanta saggezza, che l’umanità aveva saputo cogliere tremila anni fa, sembra oggi evaporata. Persa. La donna, l’aspetto più creativo nell’umano delle origini, man mano è ridotta a parte inferiore. Meno apprezzata. Meno nobile, possiamo dire. Suo infatti è il compito di servire, di prendersi cura, di fare il doppio e triplo lavoro. Figli, marito, genitori, tutti a carico suo. A lei è richiesto di essere pronta e attenta ad ogni bisogno. Prima gli altri. Poi, se pure qualche residuo d’energia permane, lei.
Se poi, visto che siamo nel XXI secolo, decide di svolgere un lavoro fuori casa, sappia che il suo lavoro non ha la stessa dignità di quello del suo compagno. Uno stipendio inferiore l’aspetta. E se proprio vuol accedere a posti di responsabilità, deve dare prova di doti e competenze molto ma molto superiori a quelli che sono richiesti al maschio. Salvo poi quando non deve pagare qualche eventuale promozione sottoponendosi al... potere maschile.
E se guardiamo appena un po’ fuori, subito dietro l’angolo. Vuole spostarsi in auto? Dev’esserci il suo custode che la controlla e la segue. Vuole avere una famiglia? Ci sarà un uomo che la prende in moglie, ma non appena dovesse rivelarsi non all’altezza di tutte le sue (di lui) aspettative, può essere lasciata. Ripudiata. Senza troppe giustificazioni. O anche sottoposta alla coabitazione con un’altra donna che lui decide di sposare: fino a quattro ne può avere. Con la benedizione della sua religione! Forse che lei può avere... quattro uomini? Sì, può averne tanti, cioè nessuno, se si trasforma in oggetto sessuale, da prendere e gettare per quattro soldi.
Eppure, sempre tremila anni fa, avevamo colto un’intuizione straordinaria. La donna e l’uomo, insieme, sono immagine di Dio. Dov’è andata tanta saggezza? Dove quell’intuito che sapeva oltrepassare perfino i confini dell’umano e arrivare al divino?
Forse avete ragione. Lasciamo perdere questi pensieri: ci danno un’immagine troppo piccola e meschina dell’homo sapiens del XXI secolo.
Se il pensiero non fosse troppo assurdo, verrebbe da ringraziare Covid19: preoccupati dalla sua potenziale invasione, riusciamo a dimenticare anche l’8 marzo. Almeno per quest’anno...
[1] García Márquez, El amor en los tiempos del cólera, 1985
[2] Genesi 3, 1-6; 5,1-2
[3] 1 Timoteo 2,14