11 ott 2020
Per non perderci tra gli scandali finanziari di questi giorni
Il Vaticano non è la Chiesa
Il 20 settembre abbiamo ricordato l’anniversario della presa di Roma da parte dell’esercito italiano. 1870. Centocinquant’anni fa. Roma è annessa al Regno d’Italia e l’anno successivo vi si trasferirà la capitale. È anche la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale dei papi. Con più di mille anni di storia alle spalle, nato nel 756 con papa Stefano II, era sopravvissuto fino ad allora. Comprensibile quindi la reazione di Pio IX che dichiara «ingiusta, violenta, nulla e invalida» l’occupazione da parte dell’Italia, e definisce se stesso prigioniero politico del Governo di Roma.[1] Arriva perfino a proibire ai cattolici italiani qualunque partecipazione alla vita politica.[2] Ci vorranno quasi cinquant’anni per mettere la parola fine al conflitto: l’11 febbraio 1929 con i Patti Lateranensi Italia e Città del Vaticano codificano un reciproco riconoscimento.
Centocinquant’anni di storia non passano inutilmente. E il trauma di allora è ampiamente metabolizzato. Nessuno oggi rimpiangerebbe uno Stato Pontificio. Anzi, tutti ne vediamo la fine come una liberazione per la Chiesa e per la sua missione nel mondo.
Liberazione tuttavia non del tutto realizzata. Le vicende che riempiono i giornali questi giorni provocano non poco disorientamento. Con il rischio, se non siamo sufficientemente vigili, di rientrare nella confusione tra uno Stato, con le sue necessarie dinamiche di gestione politica economica e finanziaria, e una Chiesa la cui Carta costituzionale non può che essere il Vangelo. E solo il Vangelo. È fondamentale tenere ben chiara questa distinzione. Anche se non è facile, per alcuni aspetti che una certa con-fusione rischiano di alimentarla.
Il Vaticano è uno Stato. Come San Marino o l’Italia o qualunque altra nazione. Uno Stato ha le sue leggi e i suoi organi istituzionali. Un presidente, un governo con i suoi ministri, un parlamento, un sistema giudiziario. Una sua economia, un suo bilancio. E, naturalmente, i cittadini e un territorio.
La Chiesa è una comunità.[3] La stessa parola lo indica. La parola greca ekklesìa, traslitterata nel latino ecclesia, nasce nell’incontro tra ek (da) e il verbo kalèo (chiamare). Quindi chiesa indica la comunità di coloro che sono chiamati, raccolti, uniti. Con-vocati (il latino vocati significa chiamati). Chiamati insieme nel nome di Dio. Ritornare all’origine di una parola ci aiuta a non perderci nella confusione, sia delle parole sia dei significati. Spesso, infatti, la parola chiesa è usata con significati diversi. La usiamo per indicare la gerarchia, il papa e i vescovi. Per indicare l’edificio dentro il quale la comunità si riunisce. Altre volte diventa addirittura sinonimo di Vaticano. Guardate la stampa di questi giorni: scandali in Vaticano, scandali nella Chiesa.
Che questa confusione si possa fare è comprensibile. Soprattutto da parte di chi non guarda in profondità le cose e le questioni, magari più interessato a sparare notizie. Tanto più quando queste fanno rumore.
Il problema, però, è che questa confusione è insita, a mio parere, proprio nella struttura del Vaticano. Che non è più lo Stato Pontificio. Ma questo piccolo nuovo Stato (con poco più di seicento abitanti e meno di mezzo Km2 di territorio), avendo ancora come Capo il papa, anche sul piano politico amministrativo, continua a configurarsi come tale, e come tale appare agli occhi della società. I suoi principali ministri sono uomini di chiesa, vescovi e cardinali. Quindi da qui a fare confusione (Vaticano = Chiesa, Chiesa = Vaticano) il passo è breve. Queste ultime vicende che hanno portato alle dimissioni di un cardinale per poca chiarezza in certi movimenti finanziari – compito di un ministro dell’economia – hanno di nuovo alimentato la confusione.
Dovremmo chiederci, credo, se non sia giunto il tempo di ripensare questa unificazione di fatto, nelle stesse persone, tra gestione del potere politico e funzione di guida spirituale. Quel passaggio straordinario di centocinquant’anni fa, con la fine dello Stato Pontificio, forse ha bisogno di riprendere il cammino, fino al raggiungimento di una libertà ancora maggiore per la Chiesa. E, di conseguenza, per lo stesso Vaticano.
Sono interrogativi. Che non intendono coinvolgere né l’editore né la direzione del nostro settimanale. Sono interrogativi, personali, condivisi anche con altri più esperti di me in questioni di storia, di diritto o di teologia. E penso sia necessario tenerli aperti. Anche per non lasciar passare inutilmente la tanta sofferenza che vicende come quelle di questi giorni, che periodicamente si ripresentano, provocano nella mente e nel cuore di molti cristiani. Primo fra tutti credo, di Francesco, costretto a occuparsi di questioni che ben poco hanno a che fare con l’annuncio del Vangelo.
[1] Respicientes ea, 1870
[2] Non expedit, 1874
[3] V. La mente e l’anima, vol.1, pag. 248