21 giu 2020
La vita in casa ai tempi del confinamento
Il virus... nella coppia
Che i cinquanta giorni di confinamento in casa abbiano portato uno scossone nelle nostre famiglie è innegabile. In che direzione questo abbia spinto le energie non poteva che dipendere dalla qualità della relazione e dal progetto che stava tenendo insieme la coppia. Il piacere di un tempo finalmente condiviso, o l’intolleranza e l’indigeribilità di un’intimità forzata. Coppie ritrovate e coppie (irrimediabilmente?) perdute. Accanto a famiglie che, in maggioranza, cercano di riprendere una normalità, che fino ad allora ne conteneva la vitalità e ne custodiva l’equilibrio.
Un dato, forse inaspettato per i più ma non per gli addetti ai lavori, è l’aumento delle richieste di separazione. Ci aveva preceduti Xi’an dopo le sue settimane di quarantena. E noi la stiamo seguendo. Gli avvocati matrimonialisti parlano di una crescita intorno al 30% rispetto a tempi di normalità. Come dopo le vacanze, estive o natalizie. Anche queste un periodo di convivenza (quasi) forzata, dove il ritmo della quotidianità è interrotto. Non c’è l’uscire di casa per recarsi al lavoro, né la possibilità di incontri. Più o meno liberi, fugaci o clandestini. E se nei giorni di vacanza il mare o la montagna possono alleggerire l’eccessiva intimità, il periodo di quarantena ha messo davvero a dura prova quelle relazioni che con questi espedienti cercavano di puntellarsi.
Se i coniugi non vivessero insieme, scrive Nietzsche quasi centocinquant’anni fa, i buoni matrimoni sarebbero più frequenti.[1] Non credo sia una regola necessaria, certo è che non è raro che dopo un periodo di lontananza, il bisogno di ritrovarsi recuperi spazio e respiro.
Due riflessioni di fronte a queste evidenze. La prima è sul mondo dell’amministrazione della giustizia. L’altra è una domanda che possiamo farci circa l’alta frequenza di separazioni e divorzi che sembra caratterizzare questa nostra epoca.
Il periodo di confinamento ha bloccato la macchina della giustizia. Dall’Ami (Associazione degli avvocati matrimonialisti italiani) arriva una denuncia: almeno 25mila coppie, in attesa di separazione da mesi, si sono trovate di fronte alla chiusura dei tribunali. E non è certo accettabile che un processo di separazione, sia essa giudiziale o consensuale, si svolga a distanza su una piattaforma online o in forma puramente cartacea (con la semplice lettura e scrittura degli atti). Quasi fosse una pratica amministrativa. Il diritto di famiglia riguarda persone e relazioni tra persone. La fine di una storia di famiglia è un’esperienza altamente emozionale. C’è sofferenza, delusione, risentimento. Senso di fallimento. Tanto più fonte di dolore quanto più grande era l’investimento energetico che la fondava.
Speriamo che i nostri magistrati riaprano presto con i processi in presenza.
L’altra riflessione è connessa ai grandi numeri delle separazioni. Siamo giunti, oggi, a che una coppia su tre scoppia. Facciamo un veloce passaggio attraverso le ultime tre generazioni: i trenta-quarantenni di oggi, i loro genitori (sessanta-settantenni), e i loro nonni (quasi tutti morti).
Per la generazione dei nonni erano normali, cioè comuni, questi aspetti: compito dell’uomo è lavorare e portare a casa i soldi per la famiglia; per il resto gli è riconosciuta una sorta di lasciapassare per avventure parallele, più o meno serie e impegnative; alla donna spetta la cura dei figli, non ha un’autonomia economica, e non ha diritto a rivendicazioni circa le scappatelle del marito: si sa, lui è... cacciatore. Di divorzio non si parla: non è neppure previsto dalla legislazione.
Per la generazione dei genitori, sessanta-settantenni, gli inevitabili momenti di crisi erano sostenuti dall’impegno che sentivano di aver preso mettendo al mondo dei figli. Avrete sentito tante coppie che dicono di restare insieme, o di essere restati insieme, solo per i figli. Che la coppia goda di vita propria non è un pensiero diffuso. Loro sono prima di tutto (quasi esclusivamente?) genitori.
E i nostri trenta-quarantenni? I figli ci sono. Prima, però, ci sono loro. Perfino rispetto ai propri genitori: al punto che se per caso questi non sono sempre a disposizione, soprattutto con i nipoti, sono visti egoisti e non collaborativi. E di fronte alla crisi? Una caratteristica piuttosto diffusa è un basso livello di tolleranza alla frustrazione e una scarsa capacità a rimboccarsi le maniche: è molto più facile, se si fora una gomma, rovesciare il carretto piuttosto che fermarsi a ripararla.
E di fronte a una domanda come questa: il vostro primo matrimonio è in crisi, vi piacerebbe ricostruirne un secondo, voi due insieme? La risposta, spesso, è la fuga. Non c’è più niente da fare, dicono. E ricominciano un’altra storia. Che, la maggior parte delle volte, sarà una brutta copia della precedente...
La fuga dai problemi non si rivela mai una buona soluzione.
[1] F. Nietzsche, Umano, troppo umano, 1878