VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

28 giu 2020

Sotto assedio: meglio da un virus Corona o da un Trojan?

Immaginiamo che...

Chiusi in casa, impossibilitati ad incontrarci. Perfino ad uscire, salvo necessità estreme. Genitori e figli che non si possono incontrare, semplicemente perché non abitano più la stessa casa. Nonni e nipoti lontani. Con il rischio perfino di non potersi più vedere. Mi raccontava questi giorni una giovane donna che con suo padre si sono salutati quando è entrato nell’ambulanza che lo portava in ospedale: e il suo viaggio è stato senza ritorno. Breve per il contachilometri, ma così lungo che la distanza ora è impercorribile.

È quanto abbiamo vissuto nei nostri cento giorni. Ora proviamo ad uscirne. A fatica e con timore. Per la nostra salute. Per l’altrettanto grave situazione economica. E, non ultimo, per le tante crisi affettive che molte nostre famiglie si trovano ad attraversare.

 

Ora immaginiamo che... un altro virus ci stia assediando. Non può aggredire il nostro corpo: il suo regno non è la biologia. La sua natura è altra. Non intacca il nostro sistema operativo, quello di un organismo vivente, ma il sistema operativo dei nostri computer, tablet, telefonini. Uno di quei virus che in gergo chiamano trojan. Nome conosciutissimo tra gli addetti ai lavori e altrettanto conosciuto, almeno per sentito dire, tra i più giovani.

Ricordate la guerra di Troia? Dopo dieci anni di inutili combattimenti, i greci, guidati dall’astuzia di Ulisse, fingono di ripartire con le loro navi e lasciano davanti alle mura della città un grosso cavallo di legno dentro il quale s’erano appostati alcuni guerrieri con lo stesso Ulisse. I troiani, convinti che il nemico se n’era andato davvero, portano il cavallo dentro le mura. Ma nel silenzio e nell’oscurità della notte, i soldati escono dal cavallo, aprono le porte della città e l’esercito greco entra seminando morte e distruzione. È la fine di Troia.

Gli informatici hanno dato il nome trojan a quei virus che, senza che nessuno se n’accorga, s’insinuano nei nostri computer e al momento opportuno fanno saltare tutto. Rubano informazioni, bloccano programmi, cancellano documenti... e chi più sa, qui, più potrebbe dirci. È di questi giorni la notizia che l’Australia si sia scoperta attaccata, dal punto di vista informatico, addirittura da altri paesi, Cina o Russia o chi sa chi.

 

Ora immaginiamo che... uno di questi virus, nei confronti del quale non c’è antivirus che tenga, si sia diffuso nel mondo. E qualunque macchina – computer, tablet, telefonino, dai più semplici ai più sofisticati, fino ai supercomputer –, appena entra in contatto con un’altra, venga infettata. E l’esito non è solo il blocco dei programmi o del sistema operativo. Il virus è in grado di aggredire perfino l’hardware: la macchina stessa, già bloccata, fonde. E noi, tutti noi, all’improvviso senza telefonini, senza tablet, senza computer.

Ci dicono di far attenzione a non uscire di casa con il telefonino in tasca, anche spento, perché se si avvicina ad un altro s’infetta e fonde. Dobbiamo trovare un posto per proteggere il tablet. Un altro per il computer. Ogni macchina, spenta e a distanza di sicurezza: distanziamento fisico. E non c’è mascherina che tenga. Unica protezione sarà un antivirus. Quando verrà. Non più Facebook, non Instagram, non TikTok, non Twitter, tanto caro ai nostri politici, non WhatsApp, non sms, non giochi online. Non...

Il fiato si ferma. Il panico ci assale.

 

Allora... Vedremo di nuovo bambini riprendere in mano un libro o un quaderno. Leggere o scrivere o disegnare. Ragazzi guardarsi negli occhi, mentre camminano con gli amici o stanno seduti sulle scalette di un monumento. Guardarsi, in casa, con i genitori o con il fratello o la sorella, mentre si rivolgono la parola. Non più telefonini sul tavolo durante il pranzo o la cena. Madri e padri che ritrovano lo sguardo di un figlio o quello del proprio compagno. Insegnanti che in classe potranno di nuovo incrociare il loro sguardo con quello degli alunni, bambini o ragazzi che siano. Colleghi di lavoro, l’uno vicino all’altro, capaci di guardarsi e ascoltarsi, senza l’invasione del telefonino che suona o del messaggio che arriva. Ragazzi, e non più ragazzi, che riprenderanno a spendere la notte dormendo, anziché con gli occhi sbarrati davanti al computer fino alle cinque del mattino, fra un gioco online, una chat con gli amici e una con l’amante.

Un dramma dietro l’altro...!? Il distanziamento fisico – eravamo arrivati a chiamarlo distanziamento sociale, quello tra noi, ricordate? – stavolta non ci riguarda. Lo devono tenere solo le nostre... protesi informatiche.

 

Stavo per scrivere che bello! Poi mi sono fermato. Guarda, mi sento dire, che ti sbagli: la maggior parte di noi preferisce l’assedio del virus Corona a quello del virus Trojan. No, mi dico, non è possibile! Ma, devo riconoscerlo, questa vocina non riesco a spegnerla...