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I Vangeli non sono un testo di storia, né di scienza. Sono pagine di teologia. Pagine che, attraverso racconti, parabole, discorsi ci parlano del progetto di Dio che Gesù intende farci ri-scoprire. Quel Dio che tradizioni, regole, precetti, proibizioni avevano rinchiuso dentro un’istituzione rigida e controllante, Gesù ha cercato di liberare. Liberare dalle tante incrostazioni che lo tenevano nascosto e dalle quali emergeva con un’immagine che sapeva più di Padrone che di Padre. La sua paternità-e-maternità era stata offuscata dagli uomini del potere religioso, perché solo così, con un Dio-signore-e-padrone, potevano esercitare il loro controllo sui sudditi, definire ciò che era giusto o sbagliato, lecito o proibito. In altre parole, decidere il bene e il male. Quell’albero, che nel mito delle origini il Creatore dice all’uomo di non mangiare, loro se l’erano intestato.[1] Se n’erano impadroniti. È in questo contesto che arriva l’azione e l’insegnamento di Gesù.
Due domeniche fa, giorno di Pasqua, abbiamo letto una pagina particolare.[2] Tre persone vi troviamo: Pietro, Giovanni e Maria di Magdala. Tre discepoli di Gesù.
Dopo il dramma della sua morte, ora essi si trovano davanti al disorientamento di una tomba vuota: il corpo di Gesù, che tre giorni prima vi era stato deposto, non c’è. L’evangelista Giovanni costruisce un racconto nel quale Maria, recandosi di buon mattino al sepolcro, lo trova aperto e vuoto. Il corpo del Maestro è scomparso. Corre da Pietro e Giovanni che, sentite le sue parole, vanno di corsa a vedere. Costatano che è vuoto. E se ne tornano a casa loro. Maria invece rimane lì, presso il sepolcro, al di fuori. E piange. Dopo un po’ sente un uomo che le chiede perché sta piangendo. Poi sente Maria! Si volta. Chi la chiama è proprio Gesù!
Questo il racconto. Due uomini, Pietro e Giovanni, discepoli di Gesù fin dagli inizi. E una donna, Maria, anche lei una discepola, unitasi a loro successivamente. Tutti e tre si trovano di fronte a una tomba vuota. Nell’originale greco tomba è mnemeîon che, alla lettera, parla di memoria. Ma per ricordare bisogna fermarsi. E ascoltare. Maria si ferma. Mentre Pietro e Giovanni vanno di corsa e una volta visto il mnemeîon vuoto, se ne tornano a casa loro. Con il risultato che ciò che essi sono in grado d’incontrare è solo un sepolcro vuoto. Maria, invece, sa incontrare Gesù. L’uomo che lei piange e che ora, nella gioia, può vedere.
Dicevo all’inizio che il Vangelo non è un testo di storia: esso cioè non è interessato a raccontare come realmente si svolgono i fatti descritti in un racconto. Questo è costruito per trasmettere un messaggio, un insegnamento. Lo svolgersi dei fatti e gli stessi personaggi sono anche simbolo e metafora.
Guardiamo questi due uomini che corrono per arrivare, poi se ne tornano a casa. Sono atteggiamenti tipici del maschile. Noi uomini dobbiamo correre, guardare, produrre. Ci è difficile fermarci. A pensare, ad ascoltare i nostri pensieri. E quando questi arrivano, perché è inevitabile che i pensieri arrivino, ci è molto facile scappare, metterci a fare. Lavoro, hobby. Purché ci faccia uscire dallo stare con noi stessi. Come risultato troviamo solo... una tomba vuota. Non incontriamo nessuno.
Maria, una donna, anche lei vede una tomba vuota. Ne è spaventata. Chiede aiuto ai suoi uomini. Poi però, mentre questi se ne vanno per tornare a casa loro, lei resta. Sta lì con il suo dolore. E il suo silenzio. E in questo vuoto che fa con se stessa c’è posto perché il Maestro entri. A colmare quel vuoto che lei è stata capace di custodire.
La settimana scorsa, parlando della mente, ci dicevamo delle sue due dimensioni, quella cognitiva e quella affettiva, la ragione e il cuore. Ecco. Oggi le vediamo in azione. Pietro e Giovanni, sono guidati dalla ragione: essi guardano, conoscono la realtà, vedono la tomba vuota. Ma non sanno fermarsi. Ascoltare. Quindi se ne tornano a casa loro.
Anche Maria vede la tomba vuota, ma lei è lì anche con il cuore. È da esso che si lascia guidare, non dalla sola ragione. Che senso ha restare lì a piangere di fronte a un sepolcro vuoto? Ma questa domanda non la spaventa. Ascolta il suo dolore. Il suo desiderio del Maestro. E in compagnia di questo desiderio che abita la sua anima, si ferma. Si ascolta. E nell’ascolto riesce a sentire Qualcuno che la chiama per nome. Maria! E dal cuore le esce quella parola che se ne stava lì, imprigionata. Impossibilitata ad uscire. Maestro!
Di fronte al mistero di una vita che risorge la sola ragione è impotente. Fidarsi (= avere fede) della Vita che rinasce significa rischiare di ascoltare il vuoto che ci abita quando ci ritroviamo sperduti di fronte al dolore e alla morte.
I due uomini non sanno andare oltre una tomba vuota. Perché non hanno il coraggio di fermarsi. E se ne tornano a casa loro. La donna si ferma. In un’attesa dolorosa. Così arriva a sentire la voce del Maestro che la chiama per nome. E avviene l’incontro.
(2. Gesù s'è sbagliato?)
[1] Genesi 2,17
[2] Giovanni 20,1-18