VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

26 lug 2020

È un bisogno della mente trovare un senso nella storia

Mano nella mano

L’intelligenza di cui ci scopriamo dotati ci accomuna a tutte le specie viventi. Pur nella differenza che sappiamo cogliere tra la specie uomo e altri animali, o le piante stesse. Intelligenza intesa come capacità di escogitare soluzioni ai problemi che la vita ci pone davanti. Saperci nutrire, costruire relazioni, trovare vie di adattamento all’ambiente in cui siamo inseriti... sono capacità che condividiamo con tutti gli abitanti del pianeta. La terra stessa cerca soluzioni che le garantiscano la sopravvivenza. Perfino quando le varie specie, la nostra prima e più d’ogni altra, rischiano di sfruttarne oltre misura le risorse e non ne rispettano gli equilibri.

 

Ma di fronte alle altre specie noi siamo andati oltre. L’intelligenza ha progredito al punto da raggiungere la consapevolezza. Non solo esistiamo e siamo capaci di assicurarci la sopravvivenza. Noi sappiamo di esistere. E questo sapere ci porta a ricercare sia il funzionamento della vita stessa, sia, più ancora, a chiederci il senso, il significato del nostro essere-nel-mondo. Ce ne fa ricercare l’origine. E lo scopo. La ragione, il perché.

Da queste domande, nella ricerca continua di trovare risposte che soddisfino il bisogno di comprendere, abbiamo costruito la scienza. Che, nella spinta evolutiva cui la ricerca stessa la sottopone, si moltiplica, differenziandosi in diverse e sempre più numerose ramificazioni. Ciascuna delle quali, con un proprio ambito specifico di conoscenza, ci avvicina sempre più al come delle cose e dei fenomeni. La nostra mente però non si ferma. Essa coltiva il desiderio di andare oltre: vuol comprendere il perché della vita. Il significato. Così abbiamo dato origine alla filosofia e alla religione. Meglio, alle filosofie e alle religioni.

Scienze, filosofie, religioni sono le strade che percorriamo al fine di comprendere il funzionamento del mondo di cui siamo parte (scienze), e il significato della vita stessa (filosofie e religioni).

 

Un paio di settimane fa ricevo la mail di Vittorio, un lettore abituale di Voce. A un certo punto, piuttosto sconsolato, scrive: «La fede è cosa super-difficile e tormento per tutti. Il credo offre una montagna di dubbi alla ragione dalla prima all’ultima parola». Mi colpisce il suo pensiero. E mi rendo conto che davvero oggi rischiamo di vedere scienza e fede come se camminassero su due strade parallele destinate a non incontrarsi mai.

Noi più volte abbiamo parlato della necessità del dialogo tra fede e scienza, entrambe dono di Dio. Stavolta però, per non rispondere solo con il mio pensiero, sono andato a chiedere aiuto a fonti autorevoli. Anche nella speranza che, pur in zona sismica, La mente e l’anima non abbia a soccombere.

Sessant’anni fa i vescovi di tutto il mondo, uniti al vescovo di Roma (Giovanni XXIII, poi Paolo VI), riuniti in Concilio, hanno scritto: «La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza avvertirlo viene condotto dalla mano di Dio». Consapevoli poi che questo pensiero non è così pacifico neppure all’interno della chiesa, aggiungevano: «A questo punto ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani, derivanti dal non aver sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro».[1]

In realtà già nel XIII secolo Tommaso d’Aquino, e nove secoli prima S. Agostino, sostenevano che nel caso fossero sorti contrasti tra scienza e verità di fede, questi non potevano che essere momentanei e apparenti. Quindi potevano e dovevano essere risolti.

Ma se un cristiano percepisce oggi, come scrive Vittorio, che il credo offre una montagna di dubbi alla ragione dalla prima all’ultima parola, penso che dovremmo interrogarci seriamente su come il cristianesimo viene presentato. Nell’XI secolo Anselmo d’Aosta aveva sintetizzato con queste parole quanto noi oggi proviamo a ridirci: fides quaerens intellectum (la fede richiede l’intelligenza). Fede (fides) e scienza (intellectus), la mente e l’anima, hanno assoluto bisogno di tenere aperto il dialogo. Nel rispetto delle strade proprie di ciascuna, e delle specifiche competenze, sia nel metodo sia nei contenuti. Mano nella mano.

È sempre più evidente la necessità di tradurre con un linguaggio più comprensibile all’uomo d’oggi quelle verità che sono patrimonio della nostra tradizione.

Credere non può significare complicarsi la vita. Ma arricchirla!

 

[1] Gaudium et spes, 36