Proprio una brutta storia. Una ragazza di soli diciotto anni sarebbe stata uccisa dalla sua famiglia perché non accettava il matrimonio che suo padre aveva deciso per lei. Tanti commenti e tanti pensieri abbiamo ascoltato. Insieme a tanti silenzi i cui significati rischiano di sfuggirci: dal silenzio che è rispetto di fronte a una tragedia, al silenzio che si pone concorde e complice.
Di certo, finora, c’è solo che Saman non si trova, e i genitori e altri parenti se ne sono andati. Sarà la magistratura a ricostruire fatti e accertare responsabilità. Noi proviamo a fare qualche riflessione sulle diverse facce con cui questa vicenda si propone: conflitto tra tradizioni culturali differenti; interdipendenza tra cultura e religione; diritti della donna; violenza in famiglia. Solo per evidenziare gli aspetti che primi balzano agli occhi.
Che l’uomo si ponga su un piano di superiorità rispetto alla donna è un dato indiscutibile in certe culture. Alla donna non è riconosciuto nemmeno il diritto all’istruzione; uscire di casa o guidare un’auto senza un uomo, marito o figlio o fratello, che l’accompagni; andare allo stadio o parlare con persone estranee alla famiglia. Il marito è capo della famiglia, come recitava fino a cinquant’anni fa il nostro codice, è in quei paesi norma assoluta. Capo e padrone, il suo volere è legge per le donne di casa. Moglie, mogli e figlie.
Regole neppure scritte, a volte, ma codificate dalla tradizione. E per questo molto più solide e difficili da superare. Tradizioni di cui spesso non si ha neppure consapevolezza. Pensiamo, giusto per comprendere quanto queste siano subdole e nello stesso tempo potenti, a quanto sia normale, nelle nostre famiglie, che una donna, anche dopo una giornata di lavoro come il marito, la sera senta suo il compito di preparare la cena e mettere a letto i bambini. È forse scritto in qualche articolo di legge? No. È scritto nella nostra cultura. E tutti sappiamo quanto sia difficile agire per il cambiamento.
Nella cultura che ci arriva con molte famiglie di immigrati è del tutto normale che l’uomo decida per le sue donne. Più volte ho incontrato famiglie in cui a lei non era permesso neppure d’imparare l’italiano. Se esce di casa, deve farlo insieme al figlio. Non può andare dal medico se questo è un uomo. Nessuna meraviglia, quindi, se nella famiglia di Saman al padre è riconosciuto il diritto di decidere della vita di sua figlia, perfino del suo matrimonio. Nessuna meraviglia, anche, se una ragazza non trova solidarietà neppure in sua madre. Nata anche lei e vissuta all’interno di queste tradizioni.
Tradizioni che spesso di fondono, meglio, si con-fondono, con la religione. Norme culturali e precetti religiosi si sostengono a vicenda. In tutte le culture. È abbastanza comune che in paesi islamici il pensiero di una pari dignità tra uomini e donne è ancora lontano dall’essere concepito. Com’è altrettanto lontano, spesso, la separazione tra precetti religiosi e legislazione civile. Tra politica e religione. Binomio ancora inscindibile. E quando quest’ultima entra in campo, diventa ancora più difficile cogliere certe contraddizioni.
Pensiamo un momento al nostro mondo occidentale. Per la società civile è un dato acquisito che la donna possa accedere a spazi di potere. In parlamento, al governo, in consigli d’amministrazione, nelle università, nei partiti, nel sindacato. Ma... nella chiesa? Pur accanto a dichiarazioni di grande valore e grande forza, la prassi è anni luce lontana: la donna è tuttora invisibile.
Figuriamoci in culture dove la separazione tra religione e società civile è non solo non codificata, ma neppure pensata.
Un ultimo aspetto. Si è parlato di femminicidio. Sì, si tratta dell’uccisione di una donna all’interno della sua famiglia. Ma qui non c’entrano gelosia o crisi di coppia. Qui il tema è la negazione di ogni libertà alla donna. L’assoluto predominio maschile. Pura violenza sulla donna, codificata e giustificata dalla tradizione. Culturale e religiosa.
Ma la tradizione – diceva Gustav Mahler – è la custodia del fuoco, non l’adorazione della cenere. Una tradizione che neghi la dignità della persona, donna o uomo che sia, è solo cenere. Che non contiene neppure la più piccola scintilla.
Accogliere significa integrare. È indispensabile che si attivi un dialogo tra le culture d’origine di chi viene in Italia e i valori della nostra società. E il dialogo si costruisce attraverso occasioni, proposte, incontri, aperture. Una famiglia lasciata sola non può che rinchiudersi nella propria visione delle cose e del mondo. Si isola. E inevitabilmente ri-cade nella prigionia del proprio e unico pensiero.
Temo che Saman possa chiederci: cosa avete fatto voi – cosa state facendo, cosa avete in progetto di fare – per aiutare famiglie come la mia ad... aprire le finestre di casa?