«La sapienza aveva reso chiara la lingua dei bambini» è scritto in un antico libro del I sec. a.C.[1] Doveva essere così forte questo pensiero che vi ricorrerà perfino Gesù di Nazareth per chiudere una delle tante discussioni con le gerarchie religiose del tempo: “Non avete mai letto: dalla bocca di bambini e di lattanti hai preparato per te una lode?”.[2] Pensiero antico, oltre duemila anni fa. Ma tuttora attuale, sembra.
“Sono Bianca, da Roma. Ho chiamato perché m’interessava particolarmente l’articolo che ha letto sulla baraccopoli dei migranti. Perché loro sono persone normali e noi non li accettiamo solo perché viaggiano clandestinamente. Questa cosa mi fa arrabbiare tantissimo”. “Posso chiederti quanti anni hai?”, “Io ne ho undici. E ascolto sempre il vostro telegiornale perché è molto interessante”. Questo dialogo, qualche giorno fa, nella rubrica Prima Pagina di Radio3.
Una prima osservazione. Una bambina di undici anni la mattina, prima di andare a scuola, ascolta la lettura dei giornali. Indietro di oltre mezzo secolo corre la mia memoria. In un paesino isolato dal mondo, dov’era stato spedito un prete dalla testa calda – allora le teste calde venivano esiliate: oggi gli si fa il vuoto intorno, nel silenzio e nell’indifferenza. Arrivato a Barbiana, 1954, don Lorenzo Milani inizia una scuola... speciale. Speciali sono i suoi alunni, figli di contadini analfabeti. Speciale il suo metodo d’insegnamento. Non ci sono vacanze. A scuola anche la domenica. Niente libri di testo: libro di testo è il quotidiano. Da leggere ad alta voce, per conoscere e commentare i fatti del giorno. Una notizia, un titolo, un vocabolo diventano la lezione del giorno e, se necessario, anche della settimana.
Mi chiedo in quale scuola, oggi, gli insegnanti educano gli alunni alla lettura dei giornali. Gli insegnanti, ossessionati da programmi ministeriali, voti da mettere, verifiche da fare, registri elettronici da riempire.
La seconda osservazione ci porta nell’articolo di cui parla Bianca. È sulla baraccopoli di Borgo Mezzanone, una frazione in provincia di Foggia, dove vivono migliaia di migranti. Braccianti, caporalato, grande attività agricola. E, non ultimo, sfruttamento della prostituzione. “Questo luogo – dice la responsabile dell’organizzazione umanitaria Intersos – è diventato terra di nessuno dove una rete criminale offre braccia a poco prezzo. E anche il corpo delle donne”.[3]
Loro sono persone normali e noi non li accettiamo solo perché viaggiano clandestinamente dice Bianca, questa cosa mi fa arrabbiare tantissimo. Ha solo undici anni. Poco più che bambina. Capace d’indignarsi per la disumanità in cui noi adulti lasciamo un posto come questo. E non nell’Afghanistan dei talebani, ma nella terra della nostra civile Italia. Paese fondatore della civilissima Europa.
L’Europa. Questi giorni migliaia, milioni di bambini dovrebbero alzare la loro voce, visto che i grandi sembrano aver perso ogni briciolo di dignità. E di umanità.
L’abbiamo sentito. Dodici nazioni, Austria, Grecia, Polonia, Ungheria... hanno chiesto all’Unione Europea finanziamenti per costruire un muro lungo il confine orientale che ci difenda dall’invasione dei migranti. Un muro a nostra tutela. Che ci protegga da bambini, donne, uomini – persone! – che si vedono costretti a scappare dal loro paese perché lì le condizioni di vita non sono di vita. E gli altri Paesi? Quelli del nord dicono che il problema delle migrazioni non li riguarda: sono le nazioni di primo approdo, Grecia, Italia e Spagna, che devono farsene carico. E Turchia e Libia, paesi di transito, speculano su chi le deve attraversare per arrivare da noi. Prima gli italiani o prima i polacchi o prima gli ungheresi... il ritornello non cambia.
Eppure basterebbe farsi una semplice domanda: cos’ho fatto io per meritare di nascere in Europa; cos’hanno fatto loro per meritare di nascere in Afghanistan o in Libia o in Nigeria o in Somalia. Una domanda semplice, dal solo sapore di umanità. Senza bandiere di partito o di religione.
Perché se poi dovessimo interrogarci, i tanti di noi che si dichiarano cristiani credenti-e-praticanti, a quale pratica ci riferiamo per metterci questa medaglia, allora è meglio... chiudere il Vangelo. Perché non è l’andare a messa la domenica che ci rende praticanti per Gesù di Nazareth. Ai suoi occhi lo siamo a seconda di come trattiamo i nostri fratelli “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero straniero e mi avete accolto... Quello che avete/non avete fatto a uno di questi miei fratelli piccoli l’avete/non l’avete fatto a me”.[4] Nient’altro.
Grazie, Bianca. Per la dignità e l’umanità a cui, con i tuoi soli undici anni, ci richiami.
[1] Sapienza 10,21
[2] Matteo 21,16
[3] Domani, 19 ott
[4] V. Matteo 25,31-46