11 lug 2021
Domande per riflettere sul rapporto Vaticano-Chiesa
Il pericolo della con-fusione
Nell’ottobre scorso facemmo insieme alcune riflessioni sulla confusione che spesso stampa, politica, conversazione comune fanno tra Chiesa e Vaticano.[1] La nota che quest’ultimo ha ritenuto di dover inviare all’Italia in merito al Disegno di Legge Zan in discussione al Senato rischia di riportarci in questa confusione. Nel farci qualche domanda, evitiamo di cadere in prese di posizione da tifo da stadio, com’è accaduto purtroppo questi giorni. Titoli sparati sulle prime pagine, politici pronti a cavalcare la causa e schierarsi, rigidamente, da una parte o dall’altra, non aiutano a costruire.
Non entriamo nel DDL oggi. Oggi riflettiamo su questa possibile confusione. Meglio, con-fusione. Guardiamo questa parola: con nella nostra lingua significa insieme; fusione, dice il vocabolario, esprime il riunire o riunirsi di più elementi per formare un tutto unico. Il punto è proprio qui, a mio parere. Vaticano e Chiesa (cattolica) rischiano la con-fusione: fusi l’uno nell’altro, come fossero un tutto unico. Ma non è così. Non può essere così. Il Vaticano è uno Stato. Autonomo e sovrano. Con il suo territorio, le sue istituzioni, la sua politica, la sua economia. La Chiesa è la comunità dei credenti. Comunità che, nel caso di tutte le chiese cristiane, ha come fondamento il Vangelo.
Ora, ad aver fatto un’obiezione su un disegno di legge è uno Stato, il Vaticano, che con un altro Stato, l’Italia, ha firmato un accordo. Concordato o Patti Lateranensi. Se due Stati sottoscrivono un accordo e uno dei due ritiene che l’altro stia violando quanto sottoscritto, ha il diritto/dovere di farlo presente. Saranno poi i rappresentanti dell’una e dell’altra nazione a chiarire e lavorare per superare le incomprensioni.
Dov’è il problema allora? Nella con-fusione che si rischia di alimentare. Se apriamo i giornali vediamo come continuamente le parole Vaticano, Chiesa, Santa Sede sono utilizzate in perfetta interscambiabilità. Come sinonimi. Come fossero la stessa cosa. “Il Vaticano ha attivato i propri canali diplomatici...” troviamo; poi, poco sotto, “La Chiesa è intervenuta nell’iter di approvazione di una legge...”; e ancora “Nella modificazione dell’accordo tra Italia e Santa Sede del 1984...”; ecc.
Il Vaticano, o Santa Sede, parla come Stato che ha sottoscritto un accordo. Ma non può parlare come Chiesa. Sarebbe l’ingerenza di uno Stato straniero. Se è la comunità-chiesa che ha obiezioni rispetto ad un disegno di legge, è giusto che questa esprima le proprie opinioni. Nel nostro caso può essere la Cei (Conferenza Episcopale Italiana) che dice il suo punto di vista. Saranno i cittadini che si riconoscono nella religione cattolica che possono/devono presentare osservazioni, critiche, contestazioni, proposte. Come saranno i cittadini di un’altra religione a dire la loro quando lo stato in cui vivono dovesse prendere decisioni che essi non condividono. Il punto centrale rimane che uno Stato ha il diritto e il dovere di essere laico. Cioè di conservare una sua autonomia di giudizio e di decisione rispetto a qualunque confessione religiosa. La democrazia richiede che a decidere per una disposizione di legge sia la maggioranza dei cittadini. La maggioranza numerica.
Un altro pensiero, tuttavia, è necessario tenere aperto. Che una maggioranza abbia il diritto di decidere per la promulgazione di una legge non significa che questa decisione sia necessariamente la migliore. La qualità di una legge non dipende dal numero dei favorevoli o dei contrari. La qualità è strettamente legata ai valori che la sottendono. Immaginiamo una legge che consenta il furto. O una che impedisca l’accesso a stadi, cinema o teatri a chi è di una data religione o etnia. O le leggi razziali di epoca fascista. Anche se approvati dalla maggioranza, non per questo il furto o la discriminazione in base alla religione o alla ‘razza’ (?) diventano eticamente giusti. La giustezza o meno di una legge deriva dai valori o disvalori che essa esprime e sui quali si fonda. Il furto rimane sempre un male, anche il giorno in cui non fosse più reato in quanto ammesso dalla legge. La discriminazione è eticamente sbagliata perché tutti abbiamo lo stesso diritto al rispetto, in quanto persone. Indipendentemente dalla religione cui possiamo aderire, dall’orientamento affettivo sessuale, dalla tradizione culturale o origine etnica da cui proveniamo.
Ora, per la questione di questi giorni, lasciamo ai canali diplomatici il compito di chiarire eventuali incomprensioni tra i due Stati. Per quanto invece riguarda il pensiero della chiesa-comunità sul DDL in discussione, è necessario che ciascuno cerchi di informarsi adeguatamente, così da poter esprimere la propria valutazione, nel confronto e nel dialogo tra le diverse posizioni.
Questa è democrazia. E rispetto reciproco.