VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

17 ott 2021

Una sorgente d’inquinamento insospettabile e troppo trascurata

Internet, il quarto Paese

Se Internet fosse un paese, sarebbe il quarto, dopo Stati Uniti, Cina e India, per emissione di Co2 nell’atmosfera. Un’affermazione che, credo, ci lascia piuttosto sorpresi. Abituati come siamo a considerare la rete e tutto il digitale come qualcosa di impalpabile, immateriale. Quindi pulito. Eppure questa è l’immagine che ci propongono gli esperti. Cos’è che contribuisce a iscrivere il digitale tra le grandi fonti d’inquinamento? Proviamo a guardarne qualche aspetto. Ci sorprenderà. Tanto che dovremo cominciare a chiederci come ciascuno di noi contribuisce, in negativo, e cosa possiamo fare per ridurre e diminuire il nostro apporto a questa nuova sorgente d’inquinamento.

 

Perché Internet funzioni servono miliardi di chilometri di cavi per collegare paesi e continenti. Con relativi tunnel e materiali, di consumo e di scarto. Milioni di server, dislocati in ogni parte del pianeta. Perennemente accesi. Pena la sospensione dei collegamenti. Enormi divoratori d’energia, sia per funzionare, sia per essere raffreddati.

Entriamo in casa. Telefonini, tablet, computer. I materiali utilizzati per la produzione sono materiali rari, e di non facile smaltimento una volta dismessi. E non è che poi questi attrezzi durino tanto. Primo perché gli stessi produttori li pensano con una sorta di scadenza: obsolescenza programmata la chiamano. Il sistema operativo e le varie applicazioni (software) dopo qualche tempo non sono più aggiornabili e non funzionano più. Così, pur in presenza di una macchina (hardware) in sé ancora in buono stato, dovremo cambiarla. Poi anche per quell’impulso irrefrenabile all’acquisto del nuovo, una sorta di compulsione, che il mercato alimenta nella nostra mente assuefatta al consumismo, con sempre un ultimo modello in vetrina. Finiamo così con l’incrementare la produzione di questi oggetti. Quando sicuramente potremmo, almeno in parte, diminuirla o arginarla.

 

Quando ho realizzato quanto inquinano il mio telefonino e il mio computer sono rimasto senza parole. Per produrre un telefonino vengono immessi nell’atmosfera oltre mille chilogrammi di anidride carbonica, la stessa che emettono due auto che percorrono 3mila chilometri. E questo solo per produrlo. Poi lo usiamo. Hanno continuamente bisogno d’essere ricaricati. Quante volte lo facciamo, ognuno di noi? Anch’essi, nel piccolo, divoratori d’energia.

Un altro aspetto. Oltre all’energia necessaria per tenerli in funzione, dobbiamo considerare che ogni volta che facciamo una ricerca, o inviamo un messaggio una foto una mail, immettiamo chili di Co2 nell’atmosfera. Qualche esempio: una mail ne produce 19 grammi, 16 un messaggio WhatsApp o FaceBook, 8 una ricerca su Google. Per non parlare di quanta ne producono i siti web: hanno considerato che i siti del nostro Ministero dell’Ambiente e del WWF, insieme, ne producono 3,6 tonnellate l’anno.

 

Quasi nessuno è consapevole delle conseguenze dell’inquinamento digitale. La disinformazione in quest’area si traduce in grande contributo alla crisi ambientale. Che non solo è già iniziata da tempo, ma sappiamo ormai essere giunta a un punto di non ritorno. E questo lo sappiamo. Tutti.

Possiamo fare qualcosa nel nostro piccolo?

Qualche suggerimento, che ci viene proposto. Tante App inutili teniamo nello smartphone che non usiamo mai: anche queste consumano energia e scambiano dati. Togliamole. Evitiamo di ricevere newsletter completamente inutili, che alla fine neppure leggiamo, visto che non ci interessano: facciamo attenzione quando visitiamo qualche sito, perché spesso vi aderiamo senza neppure accorgerci. Quando un tempo spedivamo lettere o cartoline avevamo immediatamente la percezione della spesa, tra carta e francobolli. Ora spedire una mail non costa niente – nell’immediato! – e non abbiamo la percezione del costo che si chiama inquinamento per il pianeta. Messaggi vocali, che producono molta più CO2 di un semplice messaggio scritto: contiamoli quanti ne scambiamo in un giorno. Parenti, amici, colleghi. Perfino tra coniugi, da un piano all’altro della casa. A quante chat siamo iscritti? La settimana scorsa grandi crisi di panico sono volati nell’aere: FaceBook con WhatsApp e Instagram in tilt per sette ore. Non potevamo più comunicare!

 

Qui dobbiamo fermarci. Perché a questo punto è un altro tipo d’inquinamento che dovremo osservare. Con cui dovremo anche misurarci. Inquinamento relazionale possiamo chiamarlo. L’assuefazione, cioè, ad una connessione a distanza. Che, però, toglie sempre più respiro all’incontro personale. Fino a farci credere che un messaggio inviato è la stessa cosa che parlarci guardandoci negli occhi. Ma di questo inquinamento parleremo in altra occasione.

Per oggi ci lasciamo con un ulteriore pensiero di gratitudine per i nostri fratelli alberi cui la settimana scorsa chiedevamo aiuto.[1] Per restituire salute e benessere al pianeta. E a noi che ne siamo parte.

 

 

[1] Mille miliardi

V. anche Telefonini & C.