Se chiediamo ai nostri bambini quando inizia l’estate, prontamente ci diranno il 21 giugno! Così infatti siamo soliti contare giorni e stagioni. Nell’antica tradizione cinese, invece, questo giorno è il culmine della stagione. Che d’ora in poi si muoverà verso l’autunno. Da oggi, infatti, la luce del giorno inizia la sua discesa in favore della notte. Che guadagnerà ogni giorno qualche minuto, per sei mesi, fino al 21 dicembre. Per poi ritirarsi pian piano e lasciare di nuovo spazio alla luce. Così il ciclo di vita del nostro pianeta.
L’estate è il tempo in cui il richiamo dell’aria aperta si fa più forte. E l’invito ad uscire dagli spazi ristretti della casa e ad entrare nel giardino della natura è qualcosa che si attiva in ogni nostra cellula. Richiamo antico, ancestrale, se pensiamo che in una pagina di 2mila500 anni fa, gli uomini, riflettendo tra sé, collocavano se stessi nel giardino delle origini, in compagnia delle piante e degli animali. «Il Creatore piantò un giardino in Eden [...] Fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi, piacevoli alla vista e buoni da mangiare [...] Poi prese l’uomo e lo collocò nel giardino perché lo lavorasse e lo custodisse».
Oggi, guardandoci, vediamo come questo risveglio non sia poi così immediato. Due componenti sembrano complici nel renderci meno attenti al richiamo della natura – potenziate, in quest’ultimo anno e mezzo, dall’assedio di Covid19. Da una parte una sorta di abitudine a identificare la sicurezza con lo starcene chiusi in casa, isolati da tutti. Dall’altra l’invasione della tecnologia. Per noi adulti con il lavoro a distanza cui, paradossalmente, abbiamo dato la qualifica di ‘intelligente’ (smart). Quando invece è un modo di lavorare che ci chiude sempre più ad ogni relazione reale. Per i ragazzi con la didattica a distanza (Dad), che li ha costretti a restare inchiodati, più di quanto già non lo fossero, davanti a smartphone, tablet e computer. E a perdere, anch’essi, quella dimensione di socialità che è indice e alimento di salute. Mentale e fisica.
Ma il richiamo alle relazioni umane appare, per fortuna, non del tutto perduto. Vista anche l’urgenza a riprendere i contatti, certe volte perfino al di là della necessaria attenzione per non ricadere, nei prossimi mesi, nell’assedio di Covid.
Meno forte invece il contatto con la natura, il giardino cui originariamente apparteniamo. Dimensione piuttosto sfumata. Quasi perduta. Eppure sappiamo bene quanto sia anch’essa altrettanto necessaria alla nostra salute. Anche stavolta, fisica e mentale, dal momento che entrambe si alimentano nella reciprocità.
Allora uno sforzo per ritrovare questo contatto. Usciamo! Ogni giorno. Non oso chiedervi un tempo pari a quello che dedicate ai vostri cellulari o ai social cui aderite. Meno ancora vi propongo di chiederlo ai nostri ragazzi. Ma provate a immaginare se potessimo vivere trenta minuti di ogni nostra giornata all’aperto, in mezzo al verde. Ridare ai polmoni aria pulita, ricca di quell’ossigeno che le piante così generosamente ci regalano. Fuori dalle strade e dai locali che quotidianamente ci imprigionano. Braccia, gambe, cuore, cervello e tutti gli organi canterebbero inni di grazie. Rigenerati nelle loro potenzialità.
E un altro pensiero, altrettanto importante, coglieremmo. Dai tempi di Darwin, il grande studioso che ha rivoluzionato le nostre conoscenze sull’origine delle specie, abbiamo assunto come legge dell’evoluzione la competizione. La lotta per la sopravvivenza. Certi che quanto più una specie è forte tanto più garantita è la sua possibilità di non scomparire. Ebbene, se ci avviciniamo alle piante, e osserviamo le relazioni che esse tessono tra loro, una grande sorpresa ci colpisce. Se ai nostri occhi ogni albero appare come un individuo singolo, non diversamente dagli animali o da noi stessi, le osservazioni e le ricerche degli ultimi decenni ci mettono davanti a una nuova realtà: gli alberi sono enormi comunità di individuistrettamente connessi. Comprendenti perfino specie diverse. Capaci attraverso gli apparati radicali di scambiarsi nutrienti, acqua e informazioni utili e necessarie alla vita. Da loro ci viene detto che la legge della sopravvivenza è basata sulla collaborazione. Non sulla competizione.
Una domanda, allora. Non sarà questa la legge vera che origina e fonda la vita sulla terra? Non sarà che è ancora homo sapiens ad aver sostituito la collaborazione con la competizione? Nel mito delle origini parole dure troviamo a un certo punto: «Con fatica mangerai tutti i giorni della tua vita, spine e cardi [la terra] farà germogliare per te...».[1] La natura si ribella. L’armonia è rotta. Homo sapiens, definendosi padrone, si è arrogato il diritto di decidere il bene e il male.
Dalle piante, maestre di relazione, l’insegnamento: non la competizione, la lotta per la sopravvivenza, alle radici della vita. Ma la collaborazione.
[1] Genesi 1-2 passim