13 giu 2021
Nel 1972 l’ONU dichiara il 5 giugno giornata mondiale dell’ambiente
La terra e noi
Ripristinare gli ecosistemi degradati dall’uomo è il tema della giornata mondiale dell’ambiente 2021, e indica l’obiettivo che le Nazioni Unite intendono raggiungere entro il prossimo decennio. Tutela degli ecosistemi e della biodiversità, riforestazione e contrasto al cambiamento climatico le sfide indicate.
Dieci anni per «prevenire, fermare e invertire i danni inflitti agli ecosistemi del pianeta, cercando di passare dallo sfruttamento della natura alla sua guarigione». Programma che porterebbe anche benefici economici straordinari «dieci volte superiori alla spesa per gli investimenti; mentre non fare nulla è almeno tre volte più costoso che ripristinare l'ecosistema». Oltre che benefici alla salute della terra e dei suoi abitanti. Noi compresi. Sì, noi compresi, noi che siamo l’animale più aggressivo e pericoloso, tra tutte le specie viventi, per noi stessi e per il pianeta.
«Da oggi al 2030, il ripristino di 350 milioni di ettari di ecosistemi terrestri e acquatici degradati potrebbe generare 9mila miliardi di dollari di servizi ecosistemici, e rimuovere fino a 26 miliardi di tonnellate di gas serra dall'atmosfera» è scritto nel sito dell’UNEP (United Nations Environment Programme, Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite).
È il Pakistan quest’anno al centro di questa giornata mondiale. Tsunami di 10miliardi di alberi il suo programma: entro il 2023 tanti ne metterà a dimora nel suo territorio. Il ripristino dell'ecosistema, sostiene l’ONU, può aiutare a proteggere e migliorare i mezzi di sussistenza, combattere le malattie, ridurre il rischio di disastri naturali.
Ora stiamo uscendo da una pandemia che ci ha messi a dura prova. Come singoli e come nazioni. Ha scritto un grosso punto interrogativo sulla nostra presunta superiorità. Da autoproclamati padroni del mondo, ci siamo visti costretti a riconoscerci vulnerabili. A riconoscere il nostro limite.
Incapaci di cogliere la complessità dell’ecosistema di cui siamo semplicemente una parte, ci siamo incastrati in una gestione dell’economia che sa muoversi soltanto dentro i confini ristretti del guadagno immediato. Ignorando l’insieme cui apparteniamo, sia in senso orizzontale – la nostra vita è inserita in un contesto in cui un movimento che attuo nel mio paese si riflette nel resto del pianeta – sia in senso verticale. Ci mostriamo, cioè, incapaci perfino di cogliere che il recupero o il danno che poniamo in essere oggi ricadrà sulle generazioni che verranno. I dieci anni che l’ONU indica come tempo per il recupero, se dovessero lasciare il pianeta nelle condizioni di oggi, metterebbero la terra in uno stato di salute così precaria che i bambini di oggi, i nostri bambini cui diciamo di volere tutto il bene del mondo, non potranno che subirne conseguenze non certo più leggere della pandemia con cui oggi ci stiamo misurando.
Certo è il colmo che i primi a sviluppare una consapevolezza rispetto alla serietà del problema siano stati i ragazzi. Quelli che noi adulti giudichiamo superficiali e fatui. Capaci solo di vivere attaccati ai telefonini cinquanta ore al giorno. Ebbene, proprio loro sono diventati i protagonisti di una battaglia che noi adulti, e i governi cui diamo vita, facciamo ancora fatica a prendere sul serio. Hanno compreso bene che saranno loro a pagare per la distruzione degli ecosistemi e il conseguente cambiamento climatico che noi adulti – che li abbiamo messi al mondo – stiamo imponendo al pianeta.
Ogni volta che mi fermo a riflettere su questa pandemia, che ci ha chiusi in casa e costretti perfino a guardarci con sospetto ogni volta che c’incrociamo per la strada, non posso fare a meno di guardarla come un messaggio che il pianetaci sta inviando. Un messaggio di allerta. Di richiamo verso il recupero di un atteggiamento di rispetto. Nei confronti della natura. Non c’è bisogno di chiamare in causa spiriti o demoni che vogliono... mietere le anime. O messaggi che arrivano da qualche sfera celeste. La distruzione degli ecosistemi, la cui espressione prima è la perdita delle specie, animali e vegetali, alla cui estinzione diamo tutto il nostro ampio contributo, non aggredirà mai virus o batteri. Questi abitavano il pianeta milioni di anni prima che giungessimo noi, animali razionali e consapevoli. Essi sanno bene come difendersi e come sopravvivere. Togliamo loro l’ambiente in cui sono vissuti finora? Nessun problema: vengono da noi. E anche se dovessimo scoprire che quest’ultimo virus è sfuggito da qualche laboratorio, sempre d’inquinamento si tratterebbe: inquinamento da ingegneria genetica che homo sapiens, presunto dio-padrone, si mostra poi incapace di governare.
Ecco a cosa serve la Giornata mondiale dell’ambiente. A ricordare che prenderci cura dell’ambiente significa semplicemente prenderci cura – seriamente, però – di noi stessi.
* Leggere anche Dagli alberi la salute, Il virus non è un nemico