3 ott 2021
Come contributo per il suo miglioramento, altre note sul DDL Zan
Per una legge buona (2)
Riprendiamo dalle osservazioni che ci siamo fatti, in merito al DDL Zan, nel luglio scorso. Riserve sull’Art. 1 che dà definizioni che non appartengono all’ambito giuridico, proprio di una legge; confusione nel linguaggio all’Art. 7, come se la parola omo-sessualità (che noi preferiamo chiamare omo-affettività) si riferisca soltanto agli uomini e non anche alle donne con orientamento affettivo sessuale verso una persona dello stesso sesso; ultima osservazione sulle sottodistinzioni, nello stesso articolo, inutili e già superate in alcune comunità LGBTQIA+.[1]
Buono mi pare che il parlamento si sia preso del tempo per costruire un testo condiviso e più efficace rispetto all’obiettivo, giusto, di superare ulteriori discriminazioni.
Altri due punti critici guardiamo oggi.
L’Art. 4. «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». A un primo sguardo potremmo dirlo superfluo dal momento che la Costituzione già afferma il diritto alla libera espressione delle idee: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» (Art. 21). Dov’è allora il punto critico? In una parola: purché. La libertà di esprimere opinioni e idee va bene, purché da queste non nascano atti discriminatori o violenti. Chiaro? Sì. E no. Perché la domanda a questo punto si sposta e diventa: chi ha la competenza per decidere l’eventuale nesso tra l’opinione che io esprimo e possibili atti discriminatori o violenti che altri possono compiere? Il magistrato. Sì, ma con quale discrezionalità? E fondata su quali princìpi? Non può una legge nascere nell’ambiguità e nell’indeterminatezza.
Un altro punto critico, a mio parere, all’Art. 7. In merito alla «Giornata nazionale contro l’omofobia [...], al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione...», è chiamata in causa la scuola perché provveda «alle attività» relative.
La scuola dunque deve garantire che si parli e si approfondiscano concetti come omofobia, bifobia e transfobia. Ma quale scuola? Non è specificato. Dalla scuola dell’infanzia ai licei? Mi chiedo come parlare con bambini di tre, quattro o cinque anni di omofobia, per esempio. E con i bambini della scuola primaria, sei undici anni? Cosa sarà la transfobia ai loro occhi? Spostiamoci nella scuola media, dodici quattordici anni. Sono gli anni della preadolescenza. Gli anni, cioè, in cui un ragazzino, una ragazzina, inizia a misurarsi con la propria affettività, che sta aprendo il dialogo, che continuerà tutta la vita, con la dimensione sessuale. Qual è il senso di voler introdurre concetti di cui ancora non può cogliere il significato? Non solo. L’eventuale intrusione di parole così cariche, dal punto di vista emozionale, rischia di essere un contributo alla confusione piuttosto che un aiuto per la costruzione di sé. Ricordate Lucio, quattordici anni, che incontrando il suo amico Nicola, che afferma di essere Nicole, inizia a dire ai suoi genitori che anche lui è una ragazza?
E negli anni di liceo? Qual è il senso dell’introduzione di tutte queste distinzioni (omofobia, bifobia, transfobia...)? Il pensiero con cui i ragazzi di quest’età hanno bisogno di misurarsi è quello che sottostà al pericolo delle emarginazioni. Dei bullismi. Per le ragioni più diverse. Dal peso all’altezza, dai brufoli alla capigliatura, dal rendimento scolastico ai soldi di cui disporre, al fumo o alle sostanze con cui misurarsi.
Attenzione, che la sana esigenza di promuovere il rispetto delle diversità non diventi induzione di ulteriore confusionenella mente di un adolescente che, proprio per l’età che sta vivendo, nel naturale processo evolutivo, è tuttora alla ricerca della sua identità. E il sano, giusto, legittimo, necessario rispetto per le minoranze non abbia a diventare non rispetto per i tempi di tutti.
Abbiamo bisogno di riflettere in maniera chiara e libera da posizioni preconcette. Destra e sinistra. Laici e cattolici. Poniamoci queste domande. Ascoltiamole. Anche altre, se ce ne sono.
Ora, dopo le amministrative, il parlamento riprenderà la discussione. Se da una parte una legge che tuteli dalla discriminazione le persone che vivono un’affettività-e-sessualità diversa è necessaria, altrettanto necessario è costruire una buona legge che si prenda il tempo utile per maturare. Nel confronto e nell’ascolto reciproco.