20 nov 2022
Una nuova etichetta per il Ministero dell'Istruzione
Dal merito allo scarto
Grandi novità, almeno così ce la vogliono vendere. Il nuovo governo rinnova il paese. Meglio, la nazione. Tra queste ci ritroviamo il Ministero dell’Istruzione che acquista una stelletta in più: Ministero dell’Istruzione e del Merito. In una vignetta, un ragazzino, zaino in spalla e su un banco di scuola, dice: “Perché invece non l’hanno chiamato Ministero dell’Istruzione e del recupero della dispersione scolastica?”. Figlio mio, tu sei rimasto all’epoca di don Milani, i nostri sono più avanti. Molto più avanti!
Cos’è la dispersione scolastica? Chi riguarda? Qualche povero disgraziato, anzi, un bel po’ di poveri disgraziati, figli di famiglie neppure troppo regolari, magari anche stranieri, profughi, immigrati venuti qui a sfruttare noi che invece lavoriamo. E ci rubano pure il lavoro. E si prendono anche il reddito di cittadinanza. Alle nostre spalle. Quando invece i nostri figli sì che studiano e s’impegnano. Prima gli italiani, memento (= ricorda)! I meritevoli devono andare avanti, non si può far carriera perché figli di papà, il successo nella vita bisogna conquistarselo: tutto qui il merito, dicono. Poi... non vorrai mica che la scuola perda tempo a star dietro a chi non lo merita? I migliori vanno premiati. Chi rimane indietro peggio per lui. Se poi non va neppure a scuola, allora vuol dire che se la cerca. Noi dobbiamo curare chi s’impegna.
Il problema è che il figlio del dottore sarà sempre un passo avanti. Così il figlio dell’italiano con la famiglia regolare e istruita. A casa parlano la stessa lingua che parla la scuola, ricordano i ragazzi di Barbiana.[1] E la scuola è felice di prendersene cura. Di promuovere il meritevole: in fondo non è lui che dà soddisfazione? Ai genitori, ai professori. Allo stato, pardon, alla nazione. Che spende tanti soldi per farlo studiare.
La presidente – acc... oggi le sbaglio tutte: il presidente-donna – si è definita un’underdog (under sotto e dog cane): all’origine è il cane perdente in una gara, poi l’atleta o la squadra che parte svantaggiata. Ora indica anche la persona che parte in svantaggio, poi però riesce.
Ecco, il merito. Niente da ridire sull’idea che chi, con l’impegno e il lavoro riesce ad avere grandi risultati, venga poi riconosciuto. Gli si affidino compiti importanti anche a livello sociale. Politico. È inaccettabile che raggiungi posti di dirigenza, di responsabilità perché figlio di papà o associato a qualche setta o partito. Il figlio del padre spesso designa chi è destinato a diventare professore all’Università o primario in un reparto ospedaliero. Di valutazione delle competenze neanche l’ombra. La realtà continua ad offrirci casi di questo genere. Una sorta di mafia da sottobosco manovra spesso carriere. Sia in senso di promozioni sia anche, inevitabilmente, in senso di ostacoli per chi non è della casta. Come se carriera o successo dovessero essere già iscritti nel DNA. Quello familiare.
Dov’è allora il punto critico di fronte all’aggiunta al Ministero dell’Istruzione delle parole e del merito? La settimana scorsa riflettendo sulla scelta della presidente del consiglio di farsi chiamare il presidente, notavamo il grande valore che ha il linguaggio. Il linguaggio, ci dicevamo, esprime il pensiero. Di più, la struttura del pensiero.
Qual è il pensiero che veicola quella parola, merito, messa lì a definire addirittura il ministero della scuola di tutti? Ancora dai ragazzi di Barbiana: chi manca ha il difetto che non si vede. Cosa merita chi non si vede? Di continuare a non essere visto. Di diventare anche lui carico residuale, come quei profughi che il governo non voleva far scendere dalla nave, semplicemente perché... non troppo debilitati. Di nuovo il linguaggio: carico residuale. Non sai che fartene. Se non scartarlo. Ecco la parola giusta: l’altra faccia del merito è lo scarto.
Attenzione a non cadere nella trappola che si tratti solo di parole. Sì, si tratta di parole. Ma non dimentichiamo mai che le parole indicano il pensiero che le sottende. Non solo. Le parole sono potenti. Una parola può allietarci o rovinarci una giornata, renderci felici o tristi. Di fronte a un’offesa o a un riconoscimento non diremmo mai: si tratta solo di parole.
Qui il punto: mettere al primo posto il merito, nella scuola di tutti, ha come contropartita inevitabile il de-merito. Chi non merita è scartato. Tutto qui. Tutto qui il pensiero che sembra guidare la nuova classe dirigente. È la ricerca di chi merita, non l’attenzione verso chi svantaggiato parte e svantaggiato rimane. Più volte Francesco parla di civiltà dello scarto che, nutrita e coltivata, s’insinua, silenziosa, e si estende fino diventare globalizzazione dell’indifferenza.
Sì, Ministero dell’Istruzione e del recupero della dispersione scolastica sa molto più di umano. Ma non sembra questo il pensiero che guida il governo che una maggioranza tra noi s’è scelto.
[1] Lettera a una professoressa, 1967