Questo pezzo non fa parte de La mente e l'anima
ma è scritto in dialogo con la rubrica Appunti Pastorali
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Immaginate il proprietario di un’azienda che non ammette donne nel suo consiglio d’amministrazione. Che direste? Maschilista, retrogrado. Malato di sessismo. Inevitabile poi chiederci che tipo di relazioni ci saranno in casa, nella sua famiglia. Con la moglie, i figli. Le figlie. Immaginate ora una nazione o una società in cui parlamento e governo siano spazio esclusivo dei maschi. Solo loro con diritto di voto. Politica, amministrazione, ogni decisione su leggi e norme spettano a loro. La parola delle donne nessun valore. È l’Afghanistan dei talebani. Il governo è dei maschi. Mogli e figlie escluse dall’istruzione. Segregate in casa. Rinchiuse perfino nei burqa. O l’Iran degli ayatollah, dove i capelli d’una donna sono pura provocazione. Scandalosa per la virtù e intollerabile per il potere maschile. È cronaca di questi giorni. E tutto in nome della religione. Perfetta esecuzione della legge di Dio. Scritta, letta e interpretata dagli uomini (maschi), naturalmente.
Perfetta esecuzione della legge di Dio. E in casa nostra? Sì, perché è facile cogliere la pagliuzza nell’occhio dell’altro e non guardare la trave nel nostro, insegnava il Maestro. Quindi... dov’è la donna nella nostra chiesa cattolica? Non chiusa in casa. Non priva dei diritti allo studio, al lavoro. Libera di tenere i capelli al vento. Ma fuori dal consiglio d’amministrazione. Fuori da parlamento e governo. Come se nella nostra costituzione fosse ancora scritto «Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea».[1] Chiaro? Non fermativi adesso a criticare l’uso improprio che ho fatto delle parole consiglio d’amministrazione, parlamento, costituzione. Andiamo alla sostanza del pensiero. E domandiamoci: è legge di Dio? O non è, anche a casa nostra, legge scritta-letta-e-interpretata dagli uomini (maschi)?
A mio parere, questa domanda è preziosa compagna di strada nel cammino sinodale che abbiamo intrapreso. Avremo il coraggio di camminarci insieme?
Ascoltiamo la grandezza di queste parole: «È una vera e propria rivoluzione culturale quella che sta all’orizzonte della storia di questo tempo. E la Chiesa, per prima, deve fare la sua parte. In tale prospettiva si tratta anzitutto di riconoscere onestamente i ritardi e le mancanze. Le forme di subordinazione che hanno tristemente segnato la storia delle donne vanno definitivamente abbandonate».[2] Parole di Francesco. È uno dei tanti pensieri che la Chiesa ha espresso, dal Concilio in poi, sulla donna. Sul piano delle dichiarazioni, su quello della dottrina, è con grande rispetto e altrettanta forza che la pari dignità con gli uomini è affermata e riconosciuta. E questo è un primo passo. Fondamentale. Ma uno dei nostri proverbi ricorda: dimmi ciò che fai e ti dirò chi sei. Ciò che fai. Non solo ciò che dici. Perché il rischio è sempre lì: tra il dire e il fare...
Ora ci aspetta il secondo passo: dalla dottrina alla prassi. Dalle parole ai fatti. Quante donne nelle nostre assemblee domenicali (la Messa) portano la loro parola? Quante presiedono l’Eucarestia? A quante è affidata la guida d’una comunità? Già vi sento: ma non puoi guardare solo questo. Certo. Ma il punto è che nella nostra chiesa chi ha diritto alla parola sono soltanto i presbiteri (preti e, soprattutto, vescovi).[3] E finché alla donna è precluso questo ministero, lei sarà sempre subordinata ed emarginata. Eppure, lo stesso Paolo, che nella lettera ai cristiani di Corinto aveva negato alle donne il diritto alla parola, qualche anno dopo scriverà che Dio non fa preferenza di persone e di fronte a lui non c’è più giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, poiché tutti siamo uno in Cristo Gesù.[4] Ma queste parole nella prassi della chiesa-istituzione non sono ancora entrate.
Le chiese riformate (i protestanti), attente ai segni dei tempi, e più aperte all’ascolto della Parola, hanno avuto la forza di superare certi condizionamenti culturali e sono arrivate, da qualche decennio ormai, ad affidare anche alle donne il compito di pastore.
Di sicuro anche noi, un giorno, riusciremo a leggere che sì, Dio creò anche la donna! È già scritto nella Bibbia: Dio creò l’adàm (il terrestre) a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò.[5] Non sarà per gli anni della mia vita, ma prima del... 3022 ci conto!
Mi hanno chiesto: perché ti riscaldi tanto sulla questione-donna nella chiesa? La risposta è semplice: perché io sono parte di questa chiesa. E credo sia anche mio dovere fare in modo che sappiamo tradurre, nei fatti, l’urgenza che «le forme di subordinazione che hanno tristemente segnato la storia delle donne vanno definitivamente abbandonate».
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P.S. Sapete cosa mi renderà triste? Non la critica o la contestazione su questi pensieri: ben venga l’apertura di un confronto. Mi farà tristezza il silenzio che li seguirà. L’indifferenza.
[1] 1a Corinti 14,34-35
[2] Pontificia Accademia della vita, 2017
[3] Cfr. i tre pezzi sul clericalismo, Voce 2021 e ’22
[4] Cfr. Galati 3,28
[5] Genesi 1,27
I tre pezzi sul Clericalismo sono 1) Clericalismo, pandemia nella chiesa 2) Clericalismo: farmaci e vaccini 3) Ritrovare le origini
Sulla donna nella chiesa si possono guardare anche: Lisistrata 2024, La mente e il cuore 2022, Gesù s'è sbagliato? 2022 e molti altri pezzi...