VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

13 nov 2022

Il linguaggio esprime la struttura del pensiero

La o il presidente?

La Presidente del Consiglio vuol essere chiamata il presidente. Non volevo parlarne, poi però, entrandoci, mi son detto no, è importante fermarci. Questa vicenda, apparentemente priva di grandi significati, evidenzia invece un pensiero profondo. E altrettanto pericoloso. Il potere è maschile. Se una donna, per vedersi riconosciuta nel suo ruolo di guida di un governo ha bisogno di coniugare al maschile il suo essere presidente, è qui che ci porta. Come se una presidente significasse un valore inferiore rispetto a un presidente. E probabilmente ha ragione. Perché questo è il pensiero dominante. In politica. Nella società. Lo è perfino nella religione. Nelle religioni.

Nell’Afghanistan dei talebani o nell’Iran degli ayatollah, pur nelle differenze, ogni manifestazione sull’emancipazione della donna è proibita. E unica risposta diventano addirittura il carcere o la morte. Il capo è uomo. Circondato da uomini. Attenti tutori dei privilegi di genere. Qualche settimana fa ne parlammo anche guardando la nostra chiesa, nella sua struttura gerarchica: coniugata al maschile e preclusa ad ogni accesso di donna. Al punto che non se ne può neppure parlare. Se non sottovoce. E tra una minoranza sparuta. Non ti mettono in galera qui. Il fermo è più sottile: ti circondano con una cortina di silenzio. Un amico prete mi ha fatto notare, rispondendo ad alcune mie riflessioni, che per noi il sacerdozio ministeriale è servizio, non potere. Sì, sul piano teorico dottrinale. Perché nella pratica ogni capacità decisionale, sia in senso organizzativo amministrativo sia in senso etico morale, è monopolio della gerarchia. Là, in Afghanistan e in Iran è l’Islam. Qui il Cristianesimo. Le due religioni più diffuse al mondo. Abissale, certo, è la differenza nella repressione. Totalmente altro il volto della marginalità e della subordinazione. Ma pur sempre di privilegio di genere da conservare si tratta.

 

Da questo punto di vista devo dar ragione alla nostra presidente. Ha ragione a volere che sia il maschile a definirne il ruolo. Il presidente, non la presidente. Attenzione, però: solo se restiamo in superficie. La sua posizione, infatti, altro non è che semplice e passiva subordinazione alla realtà. Se è vero che il potere è maschile, lei, rivendicando il potere, a ragione rivendica il maschile.

Rottura del tetto di cristallo? Finalmente una donna capo del governo. No, nessun tetto di cristallo è infranto nel rapporto maschile femminile. A meno che non vogliamo vedere come rottura del vecchio una semplice questione di poltrone.

 

Proviamo a farci una domanda: siamo sicuri che non si può agire per il cambiamento? Che lo stereotipo culturale è così radicato che ogni tentativo di superamento è destinato a morire. Che non si possa neppure coltivare un briciolo di speranza. Certo, non possiamo chiedere, a chi non ne è capace, d’ingaggiarsi in una battaglia che ha in sé il seme di una rivoluzione culturale. Ma tanta forza per portare il paese in un pensiero di destra-destra, perché non impiegarne almeno un po’ anche nella costruzione di un cambiamento culturale nel rapporto maschile femminile?

Sì, avete ragione, mi sto contraddicendo: se a guidarli è un pensiero conservatore, come posso chiedere loro l’impegno per il cambiamento? Perché nella realtà è proprio qui il problema: bisogna avere consapevolezza che si tratta di emancipazione e di uscita dalla subordinazione da parte della donna. Non semplicemente di poltrone da occupare.

 

Si tratta solo di parole, di linguaggio: cosa vuoi che cambi tra il presidente o la presidente? Ma proprio qui sta la trappola. Il linguaggio esprime il pensiero. La struttura del pensiero. Rivela i valori che lo sottendono. Se la scrittrice si definisce scrittore o l’avvocata avvocato perché altrimenti non si sente riconosciuta e rispettata nelle sue capacità e nelle sue funzioni, questo è espressione di una cultura ancora prigioniera del maschile. Quasi fosse l’unico pensiero coniugabile nelle sfere del potere o nelle aree professionali. Comprendo quanto sia difficile per la donna condurre questa battaglia per il cambiamento. Ma se non è lei a ingaggiarsi in prima persona, non può aspettarsi che sia il genere maschile a muoversi. Almeno nella maggioranza. Mai la storia ci ha portato rivoluzioni nate negli spazi del potere.

Lo so che il pensiero il potere è maschile appartiene anche alle donne. Non solo agli uomini. Anche la donna è cresciuta respirando questa cultura. Ma è importante che lei per prima ne prenda coscienza. Ne sviluppi la consapevolezza. Qualche uomo illuminato che ne condivida il progetto si trova. Il femminismo prima maniera s’era ingaggiato in una lotta contro. Ma questa ormai è acqua passata. Ce n’era bisogno all’inizio, per abbattere un muro addirittura intoccabile. Oggi abbiamo appreso che il contro non costruisce. È della consapevolezza che abbiamo bisogno. Donne e uomini. Insieme.

 

 

* Sulla donna nella chiesa cattolica v'invitiamo a leggere E dio non creò la donna