Anche sessantatré anni fa, i primi di marzo, un esercito imponente invade un paese libero. Anche allora il capo di una nazione forte decide che bisogna liberare un popolo dalla schiavitù in cui lo tengono i suoi governanti. Così un piccolo-grande popolo perde la sua libertà e da allora vive per buona parte in esilio. India e Nepal ne diventano la seconda casa. Mao Tse-Tung, il grande timoniere, dopo aver dato vita alla sua rivoluzione culturale in casa, con oppositori politici eliminati o rinchiusi in campi di rieducazione, decide che il Tibet appartiene alla Cina. Meglio, che il Tibet è la Cina. E questo paese, ricco non di petrolio o gas naturale, ma di una tradizione e una cultura che sapevano guardare la vita oltre i limitati confini del tempo contingente, con una spiritualità coltivata in secoli di storia, insieme alla sua indipendenza politica inizia a perdere anche le sue radici.
Da allora il Tibet scompare, come nazione, dalla carta geografica dei governi di tutto il mondo. Nessuno osa muovere un dito. La grande e potente Cina non si tocca. Non solo. Se qualche capo di governo o anche rappresentate politico di minor peso incontra o accoglie il Dalai Lama – anche lui in esilio da quel 1959 –, ancora oggi il governo cinese, con un vissuto paranoico da manuale, fa sentire le sue rimostranze.
La storia si ripete?
No, diranno subito gli esperti di geopolitica. E hanno tante ragioni per dirlo. Gli elementi di complessità da prendere in considerazione nel guardare l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin sono così vasti che il paragone con l’invasione del Tibet verrebbe subito contestato. Come contestato è il richiamo, più volte sentito questi giorni, con l’inizio delle ostilità cui Hitler, una volta cancelliere del Terzo Reich, dà vita negli anni trenta e quaranta del secolo scorso. Né, sicuramente, la nazione ucraina sarà cancellata dalla carta geografica dell’Europa, come il signor Putin sembra avere in programma.
Ma ciò che mi colpisce è quella somiglianza, direi piuttosto identità, di giustificazioni che questi capi autocratici portano a sostegno dell’aggressione militare che mettono in atto: l’obiettivo è liberare la nazione che invadono dal governo che in un modo o nell’altro s’è data. L’Ucraina di oggi attraverso libere elezioni democratiche. Il Tibet di allora nel solco d’una tradizione culturale costruita e consolidata nel tempo. Che, con i parametri di oggi, non chiameremmo democratica: ma era il risultato della sua storia e nessuno aveva chiesto alla Cina di sostenere una qualche rivoluzione.
Un esercito invasore non è certo di stimolo, meno ancora d’aiuto, per un’evoluzione e una trasformazione politico culturale.
Lasciamo il Tibet. Nella speranza, sempre, che le future generazioni possano rinsavire e restituirgli quella libertà che gli è stata rubata. E torniamo al presente.
Un ulteriore elemento ora è sopraggiunto a complessificare la situazione attuale. Il capo della chiesa ortodossa di Mosca, il patriarca Kirill, domenica 6 marzo, Domenica del Perdono, dalla Cattedrale di Mosca dichiara legittima e giusta la guerra contro l’Ucraina. Anzi, non la guerra, parola proibita in tutta la Russia, ma l’operazione speciale, come Putin vuole che si chiami. S’era tenuto un po’ di lato per qualche giorno e tutti speravamo che avrebbe portato una parola di pace. Anche in sintonia con Francesco. Che non manca occasione per chiedere di fermare la guerra.
Invece l’intervento di Kirill dà un ulteriore elemento di preoccupazione. Non solo giustifica sul piano concreto l’invasione dell’Ucraina (per il Donbass sono stati “otto anni di repressione e sterminio di persone con il mondo in silenzio”), ma sposta su un piano metafisico culturale le ragioni che la giustificano.
Otto secoli fa la chiesa inventava le crociate. Al grido Dio lo vuole, eserciti di cristiani partono alla liberazione della Terra Santa, perché non può, la terra di Gesù, venire calpestata, profanata, dai musulmani infedeli. Ma otto secoli sembrano passati invano. E oggi la benedizione a Putin diventa di nuovo benedizione a una guerra santa. L’invasione dell’Ucraina è aggressione a un mondo schiavo dell’ideologia dell’orgoglio gay. Quindi l’operazione speciale, secondo Kirill, è un sacrificio che la Russia compie per la salvezza e la redenzione dell’umanità.
Kirill e Putin due esaltati? Pure. Ma anche due prigionieri dei loro stessi giochi. Putin rinchiuso in un isolamento paranoico, minacciato come si sente da nemici e amici. Kirill stretto tra rivalità con altri metropoliti della gerarchia ortodossa, attento a non farsi scavalcare e perdere il potere. Non sarà facile dialogare con loro.
Preghiera e digiuno ci ricorda Francesco. Preghiera come strumento per coltivare pensieri di Pace. Digiuno, via per ritrovare ciò che davvero conta ed è essenziale nella vita.
* Sul Tibet vedere anche: La mente e l'anima, Vol. 6 pag. 44