Veloce come il vento, appena letto Fratelli, il pezzo di domenica scorsa, è arrivato il messaggio solo fratelli o anche sorelle? Giusto. Hai ragione, Beatrice. Tutti maschi infatti avevo chiamato in causa nel mio giro tra i miti che fondano la nostra cultura. E sì che in una famiglia c’ero anche entrato. Ma le sorelle le avevo lasciate lì. Oggi ci ritorniamo.
Prima però uno sguardo ad altre sorelle. Non meno famose. Pure molto potenti. Sorelle che gli umani cercavano di ingraziarsi. Figlie di Urano (il cielo) e Gaia (la terra) sono le Erinni. Nascono dal sangue del padre che Crono, suo figlio, mutila con una falce. Dee della vendetta e della punizione. Pronte soprattutto di fronte ai delitti in famiglia. Con la mediazione di Atena, che propone la forza della ragione al posto della violenza del sangue, diventeranno Eumenidi, dee benevole (eu bene e mènos animo, mente) e protettrici. E le Moire? Figlie di Zeus e di Temi, sono le dee con cui ogni donna o uomo che viene al mondo fa i conti. Le dee del destino. Cloto, la filatrice della vita, Lachesi che ne stabilisce la sorte e Atropo, con il potere di tagliarne il filo e decidere il momento della morte. Sorelle sacre e irraggiungibili.
Vicine a noi, invece, perché nella pienezza dell’umano, sono le sorelle che troviamo nella famiglia in cui eravamo già entrati. La famiglia di Edipo. Se c’è un male più grande del male, questo l’ebbe in sorte Edipo ricorda Sofocle. Eteocle e Polinice, i fratelli che si uccidono a vicenda nella guerra per regnare su Tebe, hanno due sorelle. Risorsa grande per il padre e per loro stessi. Antigone prima, seguita poi dalla sorella Ismene, sarà custode della sua vecchiaia. Quando Edipo, ormai cieco, è esiliato da Tebe dal figlio diventato re, Antigone lo segue. E diventa i suoi occhi. Lo guiderà fino ad Atene dove, secondo i disegni del Fato, avrebbe incontrato, finalmente, la morte. Antigone lotterà con tutte le forze per convincere Polinice a non far guerra al fratello che non voleva lasciargli il trono. Inutile fatica. Non è solo di oggi, sembra, che la guerra appare atto eroico per i maschi...
E quando il nuovo re decide che a Polinice non dev’essere concesso il rito funebre perché morto in guerra contro la sua patria, lei, anche a costo della vita, saprà ribellarsi: perché a nessuno è lecito sovvertire leggi non scritte, inalterabili, fissate dagli dèi, come dare sepoltura a chi muore, da qualunque parte egli abbia combattuto. Potevo io, per paura di un uomo, per l’arroganza di un uomo, venir meno a queste leggi davanti agli dèi?
Pensiamo all’attualità di queste parole. Oggi. Di fronte a una guerra dove neppure il rispetto per i morti riesce a fermare le ostilità e a prevalere sul bisogno, insensato, di annientare il nemico. Le cronache ci dicono come neanche ai propri soldati è concesso il diritto alla sepoltura in Russia. Né ai familiari la possibilità di un saluto. Nel pianto. Non si può mostrare ai propri cittadini che sono tanti, anche tra i loro, quelli che cadono in una guerra che sono stati precettati a fare contro i fratelli ucraini. E i loro corpi in vagoni frigorifero o dentro forni crematori. Civili morti, ammassati e gettati in fosse comuni, sono immagini quasi quotidiane della disumanità della guerra.
Antigone sa che verrà uccisa se darà sepoltura al fratello. Perché così ha stabilito Creonte. E ribellarsi al principe di turno non è consentito. Anche quando questi, incapace di rispettare i sentimenti più profondi, si arroga il diritto di decidere il bene e il male. E sono ancora le donne, sorelle e madri, a dover subire in Russia la legge di Putin. Prigioniero, come il re di Tebe in questo mito di 2mila500 anni fa, della sua paura. Io non son più uomo ormai, lo diventa lei uomo se non punisco questa sua vittoria arriva a dire Creonte di fronte al coraggio di Antigone che ha fatto il rito funebre per il fratello morto. È l’eterno conflitto che anche ai giorni nostri pare ancora reggere: può un uomo riconoscere che il pensiero di una donna è più forte del suo, senza perdere l’immagine di sé?
Non portare nell’animo l’idea solitaria che la verità sia tua e nient’altro sia vero aveva detto il giovane figlio, al re suo padre.[1] Ma questo pensiero non può arrivare. Se arrivasse, Creonte non sarebbe più il signore del bene e del male, e dovrebbe riconoscere che ci sono princìpi più grandi lui, perché scritti nell’animo umano. Non ultimo, fra questi, la fedeltà alla parola data. Principio sacro fin dall’antichità. Ma calpestato oggi. L’accordo, firmato qualche ora prima per sbloccare l’esportazione di grano dall’Ucraina, sùbito tradito dalla Russia con l’invio di nuovi missili su Odessa proprio mentre doveva iniziare ad essere attuato.
Sei re quando segui la giustizia, non quando la contrasti risponde la prima donna del coro al suo re.[2]
(Qui il precedente Fratelli)
[1] Sofocle, passim da Antigone, Edipo Re, Edipo a Colono, V sec. a.C.
[2] Euripide, Elena