27 nov 2022
25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Subdola. Pervasiva
Mi chiedo come si fa a partire in quelle condizioni, con un bimbo di 20 giorni con delle patologie. La madre l’ha condannato a morte. Questo scrive una donna nel suo tweet di fronte alla notizia del bambino di venti giorni che arriva a Lampedusa morto. Così ci riporta la stampa. La mamma, una ragazza di diciannove anni della Costa d’Avorio, voleva venire in Italia con suo figlio. Anche per farlo curare. Ma in Italia è arrivato solo il corpicino. Freddo. Senza vita.
Mi suona inconcepibile che una donna possa pensare, e scrivere, una cosa del genere di fronte a un’altra donna che non vedeva altra strada davanti a sé, se non quella di salire su un barchino e sperare, nella disperazione, di riuscire ad attraversare quel mare oltre il quale credeva di poter trovare la vita. Quella che nel suo paese con la sua famiglia tra la sua gente, per lei e il suo bambino, era impossibile. Inconcepibile, dicevo, il pensiero di questa donna italiana che, seduta sul divano, in casa, con i suoi figli, il calore della famiglia, non sa neppure immaginare in che stato di disperazione potesse trovarsi quella ragazza. Donna anche lei. E madre.
Anche questa è violenza. Violenza di una donna contro una donna. Una donna che giudica. E non sa sentire il dolore dell’altra. Il dolore della solitudine, dell’angoscia di fronte a un figlio di venti giorni cui non sa se e quanto potrà assicurare quel latte di cui ha bisogno, quel calore che gli permette di vivere. Cosa mangiare, dove rifugiarsi, come sopravvivere. Lei stessa. E il suo bambino.
Doveva restare lì dove altro non riusciva a vedere se non speranza, anzi, certezza di morte? Non sarà che siamo davvero anche noi dentro il pensiero che una donna che affronta un viaggio del genere, con il figlio di venti giorni in braccio, è come se partisse per una crociera, come certi nostri politici ri-cominciano a venderci la disperazione dei migranti?
No, cara signora seduta sul divano. Resta pure lì, al calduccio della tua casa e della tua famiglia. Magari ogni tanto prova a ringraziare la vita che ti ha fatto nascere dalla parte giusta. Che ti ha regalato questo privilegio. E lascia andare i pregiudizi che cercano di venderti. Non permettere alla tua mente di berli. Passiva. Prova ad ascoltare il tuo cuore di donna: sono sicuro, il dolore di quella ragazza ti raggiungerà subito. E tu potrai ascoltarlo. Sentirlo. Sentirai che quella madre non ha condannato a morte il suo bambino. Il suo tentativo disperato era invece una richiesta di grazia alla vita. Per entrambi. E partire in quelle condizioni ai suoi occhi era l’unica strada perché la speranza potesse diventare certezza. Non è stato così. Come non è così per i tanti che nel Mare Nostrum sono già sepolti. E i tanti che ancora lo saranno.
Altra faccia della violenza contro le donne. Siamo in una pizzeria, tra amici. Uno di questi racconta d’aver letto di chat di adolescenti in cui le ragazzine usano un linguaggio sexy, spinto, esplicito e apertamente provocatorio nei confronti dei maschi. E conclude: Poi è capace di denunciare che l’hanno stuprata. Si fa subito a dire stuprata. No? Parole decise. Ripetute. Seguite da commenti di condivisione. Come fossero il pensiero più ovvio. E il più giusto. E non c’era strada per dissentire. Per confrontarci. Se una donna fa così, che deve fare un uomo? Vi lascio immaginare volgarità e sorrisini... E non erano persone di basso livello culturale. No, istruiti e dotti. Pure molto religiosi. Ma prigionieri del solito cliché se l’è cercata. Dentro questo pensiero perfino altre donne. Non è questo in fondo che tanto spesso sentiamo nella cronaca giudiziaria, quando una donna che sporge denuncia per violenza sessuale, lei per prima è sottoposta a un interrogatorio calzante: com’era vestita, che stava facendo, cosa diceva, prima durante dopo? Se aveva bevuto o s’era fatta con qualche sostanza; perché non aveva reagito in altro modo; quali atteggiamenti ambigui poteva aver messo in atto... e amenità del genere. Ricordo bene, nei tanti anni di lavoro, ragazze e giovani donne che decidono, loro e i loro familiari, di non sporgere querela, sapendo bene a quale ulteriore violenza, fatta di processi e interrogatori, verrebbero sottoposte.
È così difficile comprendere che se una donna dice no significa no? E se di fronte al suo rifiuto lui continua con la forza un atto sessuale, o approfitta di uno stato di debolezza di lei, magari ubriaca o in preda a sostanze, questo nient’altro è che stupro?
Facce diverse della violenza contro le donne, oggi. Quella che non va sui giornali come Anastasiia, la giovane ucraina uccisa dal marito, questi giorni, a due passi da noi. O le tre donne a Roma. O il dramma delle ragazze iraniane, lasciate sole dal mondo occidentale.
È violenza quotidiana, subdola, pervasiva. Che non ha bisogno di un coltello per parlare, tanto le sue radici sono profonde e ramificate. Apriamoli i nostri occhi!