Sai che non so come chiamarti? Mamma. Nonna. Mamma mi piace. Mi chiedo perché hai voluto farmi nascere. C’era in te un grande desiderio. O forse ne avevi solo un grande bisogno: far rivivere il tuo Alessandro, morto tre anni fa, a 27 anni. Dev’essere stato terribile per te: perdere un figlio mi dicono che sia la prova più difficile che la vita può metterti davanti. E me ne dispiace. Tanto. E posso anche comprendere il tuo bisogno di ri-averlo con te.
Ma... hai pensato veramente a me? Hai sessantotto anni. Una bambina, a quest’età. Vedi, quando io ne avrò dieci tu sarai vicina agli ottanta. E nella mia adolescenza? A ottantacinque troverai la forza per contenere i miei quindici anni? Temo di no. Tu non avrai le forze e io non avrò una palestra dentro la quale farmi le ossa. E i muscoli. Per affrontare le prove che la vita mi metterà davanti. Perché mi hai voluta? Non è un rimprovero. È una domanda. Se non la condivido con te, con chi altri potrei?
Una cosa però te la devo dire. Fin da adesso. Lo sai che ti deluderò: non potrò mai essere il figlio che hai perduto. Mai riuscirò a colmare il vuoto che ha lasciato. Mi hai dato perfino il suo nome. Ma io sarò un’altra persona. Con la mia originalità. Con i miei sogni. I miei progetti.
Perché mi hai voluta? In un modo, poi, così strano. Da alchimista. L’ovulo di una donna, il seme di tuo figlio già congelato, il tutto nell’utero di un’altra donna. Certo, tu a sessantotto anni non avresti potuto ospitarmi. Il tuo corpo non poteva farcela. Così ho iniziato l’avventura della vita. In Florida. Con quella mamma avevamo cominciato a conoscerci. Ero dentro di lei. Il ritmo del suo cuore, la musica dei visceri erano diventati colonna sonora che mi accompagnava in questi mesi che abbiamo condiviso. Anche lei, sentendomi crescere, si emozionava. Le piaceva la mia compagnia. Si prendeva cura di me. Molto attenta. Discreta. Poi, sul più bello, quando sono nata, mi hai portata via da lei. Perché? Faceva parte del contratto, certo. Ma l’avevate fatto e sottoscritto senza di me. A me non avevate chiesto niente. Anche solo un parere. Chiedo troppo? Lei non l’ho più vista né sentita. Chi sa come starà. Lo sai tu? No. Mi dicono che una volta scaduto il contratto d’affitto – solo nove mesi – tutto si deve interrompere, se no poi sarebbe sempre più difficile rispettare gli accordi.
Che ti devo dire? Non mi piace tutto questo. Anche se mi hanno detto che sono tanti i bambini e le bambine che nascono in questo modo. Tante le coppie che, non potendo avere figli, scelgono di seguire questa strada: affittano una donna che mette a disposizione il suo corpo per i nove mesi della gravidanza. Poi mamma e bambino ciascuno per la sua strada. E la coppia che l’aveva ordinato torna a casa con il nuovo acquisto. Lo segnano all’anagrafe: figlio di lei e di lui. O anche di lui e di lui: perché ogni tanto vi ricorrono due uomini, anche se sono una netta minoranza tra quanti lo fanno.
Grazie vorrei potertelo dire visto che sono al mondo. In fondo ci sono perché l’hai voluto tu: sicuramente è meglio essere che non essere. Ma so di non saperti ringraziare in modo adeguato. Per rispettare te, i tuoi progetti. E nello stesso tempo me, i miei bisogni. I miei progetti.
Lo sento che tu mi abbracci, nonna. O, visto che all’anagrafe io sono tua figlia, e io di una mamma ho proprio bisogno, provo a chiamarti mamma. Tu mi abbracci. Anch’io. Come faccio, bambina come sono, a non rispondere a un abbraccio con un abbraccio? I baci che tu saprai darmi saranno per me baci materni. Ma saranno proprio per me o... per il tuo Ale cui hai voluto dare una figlia?
Senti, un’altra domanda. E mio padre? Ce l’ho io un babbo? Mi sa di no, vero? Accidenti, però, quanti compiti: devo realizzare il desiderio di paternità di tuo figlio, il tuo, di mamma, di farlo rivivere. Non solo nel ricordo affettuoso, ma in un nuovo bambino. In una nuova bambina, visto che sono nata femmina. Vivrò senza un padre. Con una mamma già avanti negli anni. Spero, almeno, in una buona salute. Fisica. Perché quella mentale dovrò faticare un po’ per assicurarmela.
Perché voi adulti vi dimenticate che i bambini appartengono alla vostra stessa umanità? Vi facciamo così paura? Ad appena qualche giorno di vita, ancora frastornata, leggo sui giornali che in Ucraina i mercenari russi hanno addirittura fucilato tanti bambini. Tu non c’entri niente, certo. Ma, accidenti, fucilare i bambini... In che mondo m’hai fatto venire?
Ora ti saluto, mamma. Quando puoi, e te la senti, rileggi questi pensieri. Sono questi che oggi abitano il mio cuore. Nel tempo so che impareremo a conoscerci meglio. E a volerci ancora più bene. Ci conto.
Nel nostro abbraccio. La tua Ana Sandra.
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L'attrice e presentatrice spagnola Ana Obregon a 68 anni è madre di una bambina per maternità surrogata a Miami. La bambina è nata con il seme congelato del figlio Aless Lequio, morto tre anni fa a 27 anni.