Si direbbe molto strano, ma sembra che il meglio di noi riusciamo a farlo vivere quando siamo di fronte a una qualche disgrazia. La morte di una persona cara, una grave malattia con cui la vita ci costringe a fare i conti, o una catastrofe come quella di questi giorni in Siria e Turchia. Il terremoto, con la distruzione e la morte che s’è portato dietro, ha riattivato sentimenti e azioni di grande solidarietà. Tutti pronti a portare aiuto. Amici e nemici.
In questo contesto non è mancato, c’era da scommetterci, anche quel lampo di stupidità che sembra appartenere al microbiota cerebrale di certe persone. Putin ha colorato la sua aggressione criminale contro il popolo ucraino con una battuta della sua portavoce sulla mancata presenza di Zelensky a Sanremo: Peccato, poteva vincere! Di fronte a tanto sadismo, perfino la satira di pessimo gusto di Charlie Hebdo risulta meno offensiva: su una vignetta con i palazzi crollati Ora i carrarmati non servono più scrive.
Guardo le immagini che ci arrivano. Qui il terremoto. Distruzione e morte. Case e palazzi crollati e gli abitanti rimasti tra le macerie. Là la guerra. Distruzione e morte. Differenze? Non ce ne sono. Il palazzo crollato a Kharkiv e quello a Gaziantep sono entrambi distrutti. E le persone, morte o ferite, sotto le macerie. No, una differenza c’è. Una differenza grande. La causa. In Turchia e in Siria è il terremoto ad aver provocato il crollo. Un movimento del pianeta. In Ucraina sono i missili. Un fenomeno naturale da una parte, la decisione dell’uomo nell’altra.
Sappiamo che il nostro pianeta è ancora giovane, quindi instabile nella sua struttura. Se indichiamo in un anno solare gli anni dell’universo, 13miliardi800milioni, la terra inizia la sua storia a metà settembre: anno più anno meno, 4miliardi400milioni di anni fa. E questi episodi di assestamento sono da mettere in conto. Tanto che dagli esperti ci viene detto: ciò che noi costruiamo, ciò che rappresenta la nostra storia e la nostra civiltà, le nostre grandi opere architettoniche esistono solo grazie ad un temporaneo consenso geologico, per di più soggetto ad essere ritirato senza preavviso. E quando la terra lo ritira è un dramma. La cui portata è direttamente legata alla forza con cui questa decisione arriva. Sì, c’è un altro elemento da considerare. È la sapienza o insipienza con cui facciamo le nostre costruzioni. Altra considerazione da tener presente infatti, e l’esperienza ce lo ribadisce continuamente, è che non è il terremoto che uccide, ma la casa costruita male. Ma con quest’ultima verità pare che iniziamo a farci i conti. Non solo nel previdente Giappone, anche a casa nostra.
Riprendiamo i nostri due pensieri. Primo, le immagini che ci arrivano dall’Anatolia e quelle che giungono dall’Ucraina in quest’ultimo anno. Immagini di distruzione e di morte. Che si richiamano a vicenda. Teniamolo bene in mente. E l’altro, la solidarietà. Qui mi chiedo quale senso abbia per il governo russo inviare qualche decina di operatori ad aiutare le vittime del terremoto, accanto ai soccorritori ucraini, e nello stesso tempo continuare con missili e decine di migliaia di soldati, lì vicino, a portare morte e distruzione. Quella stessa morte e distruzione per la quale si pretende di portare, qui, un po’ di sollievo.
Quale logica guidi la mente umana sarebbe interessante poterlo cogliere. Senza rifugiarci subito dentro categorie psichiatriche. Schizofrenia, infatti, è la prima parola che ci verrebbe in mente. Il greco schìzein significa scindere, separare: il pensiero (phrēn) è scisso in se stesso, dice una cosa e nello stesso tempo il suo contrario. Qui si mobilita per portare soccorso e conforto, là si attiva per elargire morte e distruzione. Immaginate un uomo che fa regolari donazioni al telefono rosa e a casa picchia la moglie.
Quale di queste due facce corrisponda alla verità sembra a voi una domanda superflua? Di certo è una domanda dalla quale spesso rifuggiamo, ma non possiamo vivere rinnegando il dovere della verità. Almeno con noi stessi.
Questa incoerenza che ci abita non può che disorientarci. Non ci riconosciamo più. Al punto che la scissione abbiamo sentito il bisogno di collocarla al di fuori di noi: su qualcosa, diventato poi qualcuno, che l’incarni. Che ne sia l’origine. E abbiamo costruito il diavolo. Il nome stesso che gli abbiamo dato esprime appieno questa distonia del pensiero: diavolo (da dià tra e bàllein porre, mettere) significa colui che separa. Ma in realtà sappiamo assai bene che superare la scissione del cuore possiamo farlo soltanto noi: non c’è esorcismo che tenga. Il bene e il male ci appartengono entrambi. Sta a noi scegliere a quale voce riconoscere il diritto alla parola. E all’azione.
Far vivere il peggio o il meglio di noi dipende solo da noi.
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