Ancora una brutta vicenda: una giovane donna denuncia un suo amico per violenza sessuale. E ancora una volta il solito cliché: sarà lei a dover dimostrare di non essere colpevole. Perché se una ragazza viene violentata, subito tutti pronti a chiedersi: ma lei che faceva? com’era vestita? come lo guardava? Fino a cercare nella vita di lei frequentazioni, abitudini, atteggiamenti, comportamenti. Insomma, se un povero maschio aggredisce sessualmente una donna, è chiaro che... lei deve aver fatto qualcosa per provocarlo. O quantomeno non ha usato la prudenza, l’attenzione, il riserbo che una donna deve avere.
Chiarito che nello specifico solo la magistratura potrà definire i fatti, colpisce che subito su un quotidiano nazionale appare un’acuta (!?) osservazione: «nel caso risulterà che una ragazza di 22 anni era indubbiamente fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo La Russa e che perciò ogni racconto di lei sarà reso equivoco dalla polvere presa prima di entrare in discoteca, prima di chiedere all’amica “sono stata drogata?” anche se lo era già di suo». Il gioco è fatto: era una drogata, che volete di più? E non ci rendiamo conto che ancora una volta il presupposto che guiderà la lettura dell’intera vicenda è il solito: se un povero ragazzo ha fatto sesso con una ragazza, significa che lei l’ha provocato. Al punto che dovrà essere lei, l’accusatrice, a dimostrare la propria innocenza. Non l’accusato.
In questo caso poi la situazione è stata amplificata dalle dichiarazioni del padre del ragazzo, il presidente del Senato. Che non ha esitato non solo a sostenere l’innocenza di suo figlio – cosa comprensibile per un genitore – ma ad evidenziare che la ragazza ha aspettato quaranta giorni a sporgere querela, aggiungendo: “lascia oggettivamente molti dubbi il racconto di una ragazza che, per sua stessa ammissione, aveva consumato cocaina prima di incontrare mio figlio”.
Tralascio qui volutamente il tema dell’inopportunità che il Presidente del Senato, seconda carica dello Stato, faccia una dichiarazione pubblica di questo tipo. Non rendendosi conto, tra l’altro, di non aver affatto tutelato il figlio, ma di averlo sbattuto in prima pagina: guardate da quanti giorni i giornali navigano dentro questa notizia. Per non dire della situazione in cui ha messo anche la ragazza. Ignorando, oltretutto, che proprio questo governo aveva esteso i termini per sporgere querela da sei a dodici mesi.
Qualche anno fa incontrai una giovane donna che, anche lei poco più che ventenne, dopo una serata passata con amici e in compagnia della polvere bianca, s’era ritrovata incinta: alcuni tra i cosiddetti amici avevano abusato di lei. Nessuna querela in questo caso. Ma il dolore, la solitudine, l’angoscia erano diventati suoi compagni di strada. Da sola aveva dovuto affrontare una scelta che, pur a distanza tempo, non riusciva ancora a perdonarsi. Un aborto, deciso e fatto nel silenzio più totale, sia in famiglia sia con le amiche. Era lei per prima che colpevolizzava soltanto se stessa. Come se il comportamento degli amici che avevano approfittato di lei e dello stato di confusione in cui si trovava fosse del tutto normale.
Sì, perché questo pensiero non appartiene solo agli uomini. Non è raro infatti che siano le donne le prime ad accusare una ragazza e a giudicarne certi comportamenti: non sai come sono fatti gli uomini!? è il ritornello che tendono a ripetere. Non rendendosi conto di come questo pensiero sia di fatto un’aperta giustificazione per l’irresponsabilità maschile. Non solo. Non ci rendiamo conto, donne e uomini, dello stereotipo che continuiamo a coltivare, dell’uomo-cacciatore e della donna-preda. Che in una sorta di automatismo inconsapevole ci porta, immediatamente, a giustificare lui e ad accusare lei.
Questi giorni la stampa ci ha dato notizia che il Tribunale di Roma ha assolto un collaboratore scolastico dall’accusa di violenza sessuale derubricandola ad atto scherzoso, sia per la repentinità dell'azione, senza alcuna insistenza nel toccamento, sia in considerazione del luogo in cui era avvenuto il fatto, in pieno giorno in locale aperto al pubblico e in presenza di altre persone.
Niente da ridire sull’assoluzione che appare il risultato di un’attenta valutazione. Certo è, però, che troppo facilmente tendiamo a sottovalutare la fatica che una donna, a qualunque età, deve affrontare nel momento in cui decide di denunciare un abuso.
Non possiamo lasciarci oggi senza chiederci come stiamo educando le giovani generazioni. Ragazze e ragazzi. Fin da bambini. È il rispetto della persona che mettiamo al centro, o è ancora un mettere in guardia lei dai pericoli che può correre, ed esaurire con una specie di pacca sulle spalle l’educazione di lui, riducendo il tutto ad un “cerca di comportarti bene...”? Semplicistico, assolutorio e a sua tutela perché... non si metta nei guai (che significa: che non metta incinta nessuna). Che ne dite?
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Subdola. Pervasiva, Da una donna, no!, Sul corpo delle donne, Adelina