6 gen 2023
Abbiamo infantilizzato Dio o tradito l’incarnazione?
Per ritrovare un bambino... vero
Questo pezzo non fa parte de La mente e l'anima
ma è scritto in dialogo con la rubrica Appunti Pastorali
Durante i giorni di Natale diversi interventi sono comparsi sulla stampa rispetto a certe immagini che ormai da secoli accompagnano il Natale. Una cattolica femminista e un teologo, entrambi non sempre graditi all’autorità religiosa, un vescovo e un monaco. Infine una teologa, specie ancora rara, purtroppo, nella nostra chiesa. Ciascuno con proprie riflessioni. «Il cattolicesimo è l’unica religione tra le confessioni cristiane a infantilizzare il suo Dio»: ha inizio da qui il confronto.[1] Qualche riflessione in proposito.
A mio parere non è che nel Natale guardiamo troppo la nascita di un bambino, Gesù. È che a questo bambino rischiamo di togliere l’umanità. Quell’umanità cui tutti noi apparteniamo. L’abbiamo reso asettico, anomalo, fuori dal comune. Fuori dalla normalità dell’umano. Riducendoci a leggere i Vangeli dell’infanzia come fossero pagine di cronaca invece che accoglierli come immagini e quadri di grande teologia. Abbiamo cominciato col negargli una famiglia normale. Due genitori prima di tutto. La mamma, Maria, una ragazzina di 14-15 anni, le abbiamo tolto l’umanità. Immaginate una donna che, appena partorito, vestita di tutto punto, se ne sta inginocchiata davanti al suo bambino? E lui, neonato, sorridente e con le braccia aperte a benedire il mondo. Direte: ma questo sono i pittori, gli artisti a dirlo. Sì, ma siamo noi che continuiamo a coltivare queste immagini. E a riproporle. E il babbo? Povero Giuseppe: vecchio, appoggiato al bastone, anche lui inginocchiato, da una parte, davanti a questo figlio appena nato. Neanche una carezza un bacio un abbraccio alla moglie. Sfinita dal parto. Guardiamo i nostri presepi...
Il problema non è che abbiamo infantilizzato Dio. Il mio timore è che non l’abbiamo accolto. Gli abbiamo negato l’umanità. Quella che Lui in Gesù viene a cercare. Lui che per realizzare il suo desiderio di essere con-noi e far sì che noi possiamo sentirci con-lui, decide di rendersi umano. Pienamente umano. E noi l’abbiamo de-umanizzato. Questa dimensione di umanità che vive in Gesù, gliel’abbiamo tolta: se non tolta del tutto, di certo impoverita.
Domandiamoci. Un concepimento normale, come il mio e il vostro; un padre e una madre normali, giovani innamorati che progettano di condividere la vita e di formare una famiglia; cosa toglie tutto questo alla grandezza e alla straordinarietà del disegno di Dio che si rende presente in Gesù? Bambino, ragazzo, giovane uomo. Anche lui, i suoi genitori con le fatiche le soddisfazioni i limiti le risorse nel percorrere le varie tappe che la vita ti mette davanti. Guardiamo il tutto come se temessimo che una genitorialità normale potesse impedire, o addirittura negare, il suo essere pienamente Figlio-di-Dio.
Comprensibile la nostra reazione. Certo. Di fronte all’originalità e all’unicità di questo progetto divino ci troviamo così disorientati che preferiamo ridurne al minimo la dimensione umana. Così salviamo Dio, la sua divinità, da ogni possibile inquinamento con la nostra umanità. Come se questa poi... non nascesse da Lui.
È vero. Ogni volta che mi fermo ad ascoltare Gesù e lo guardo Dio-con-noi, il pensiero si confonde e non sa andare avanti. Avete presente quando, seduti o sdraiati sul divano, vi alzate di scatto e per un attimo la testa si perde e lo sguardo si offusca? Ecco.
Se Gesù lo penso e ne ascolto le parole come uno che cerca di comprendere il suo insegnamento, un’ammirazione profonda mi ritrovo. Una saggezza mi giunge che nessun altro maestro, di oggi e di ieri, mi sa trasmettere. Certe volte, leggendo Platone per esempio, o ascoltando qualcuno dei miti antichi, sorgono nel mio pensiero associazioni con parole o fatti che leggo nei Vangeli. E questo mi piace. Come una saggezza che cammina tra le generazioni e le culture: è la profondità della mente umana. Prometeo che ruba il fuoco agli dèi e lo porta agli umani, condannato dagli stessi dèi per aver osato tanto, è immagine quasi profetica di un Gesù che volendo portare all’uomo il fuoco dello Spirito di Dio, anch’egli è condannato. Stavolta però non da Dio, ma dagli uomini che di questo Spirito non ne vogliono sapere. Sono gli uomini del potere. Che hanno già il loro fuoco: la religione, la dottrina, le leggi. Quelle che impongono agli altri e che loro – e questo Lui non glielo faceva, e non lo fa, passare – non toccano neppure con un dito.
Quando invece guardo Gesù, e in lui provo a vedere Dio-con-noi, come dicevo, allora mi perdo. Il pensiero si ferma. Non sa andare avanti. Com’è pensabile che Qualcuno che chiamiamo Dio, da cui origina l’universo, un universo che trascende infinitamente le nostre coordinate, pienezza della Vita, sia in questo giovane uomo con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni... Addolorato di fronte al male, angosciato davanti alla morte, impotente di fronte alla violenza e alle ingiustizie che ai suoi tempi, come oggi, reggevano e reggono le relazioni umane.
Allora mi chiedo se rischiare l’infantilizzazione di Dio non sia, al fondo, un altro tentativo per ridurre (negare?) l’incarnazione: Dio che in un uomo, Gesù, diventa un essere umano. Nella pienezza dell’umanità.
Nessun’altra religione ha mai osato tanto. Mai Dio aveva osato tanto. Potenza dell’Amore!
[1] Murgia, Mancuso, Forte, Bianchi, Perroni: La Stampa 24-30 dicembre 2022
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Per riprendere questi temi v'invitiamo a leggere anche Tra scienza e fede 2018 (1, 2 e 3) Nazareth, una famiglia da recuperare 2023 Ci siamo persi Giuseppe 2023