Sincronicità evidenziava Jung, lo psicoanalista allievo amico alternativo e complementare a Freud. Sincronicità: due fatti che s’incontrano nello stesso momento hanno qualcosa da dire. E vanno ascoltati. La settimana scorsa riflettevamo sulla difficoltà delle religioni a uscire da un pensiero patriarcale che colloca la donna in posizione di subalternità. Pur con tutte le differenze, anche abissali dicevamo, Buddismo Induismo Islam e Cristianesimo si ritrovano sintoniche su questa tematica.
I due fatti di questi giorni: dai taliban afghani è venuta una dichiarazione sull’8 marzo; domenica scorsa in chiesa abbiamo letto una pagina di Vangelo in cui protagonista principale, con Gesù di Nazareth, è una donna. Di fronte a questa duplice provocazione, che dire?
Da Radio Television of Afghanistan: «Maulawi Abdul Kabir, Deputato Politico del Ministero dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, in nome di Allah, il Misericordioso, il Misericordiosissimo, Dio Onnipotente ha detto: “Mi congratulo con tutte le donne fedeli, dignitose e sofferenti dell'Afghanistan. In diversi periodi della storia, le donne musulmane del mondo, in particolare le donne afghane, hanno svolto un ruolo influente. [...] La benedetta religione dell'Islam vede uomini e donne con lo stesso occhio, considera entrambi come due ali della società. Rispettano la dignità delle donne e invitano tutti a rispettarle e trattarle bene [...]”».[1] Conoscendo la situazione delle donne afghane, mi è difficile ascoltare queste parole senza chiedermi se questi signori... ci sono o ci fanno. Che l’Islam veda uomini e donne con lo stesso occhio e consideri entrambi come due ali della società, di fronte a ragazzine che a 12 anni sono costrette a lasciare gli studi (che poi sono studi di sola religione: devono imparare il Corano), chiudersi in casa e vedersi allontanate da ogni attività lavorativa; in tutto dipendenti dal maschio di turno, marito o figlio o fratello, senza del quale non possono neppure allontanarsi più di tanto; vendute dalla famiglia e date in sposa, bambine, al talebano di turno... Cosa dire? Mi chiedo chi sia e dove sia questo Allah il Misericordioso il Misericordiosissimo, creato e costruito ad uso e consumo dell’uomo maschio.
Di qua siamo di fronte a una pagina di Vangelo con una luce così forte da risultare quasi intollerabile all’occhio maschile. E non mi meraviglia che la stessa comunità di Giovanni, che pure l’ha scritta, non ne abbia saputo cogliere la portata rivoluzionaria. Visto come sono andate avanti le cose tra i cristiani, fin da allora. Premesso che il racconto non ha valore storico, ma teologico, è di un incontro molto particolare che esso ci parla.[2] Gesù è solo, i suoi sono andati a comprare qualcosa per mangiare, e si siede ai bordi di un pozzo. Arriva una donna ad attingere l’acqua, e lui le chiede da bere. Ma lui è un giudeo, quindi di quelli a posto, lei invece è una donna e pure samaritana, quindi doppiamente inferiore. Lei sa tutto questo, quindi si meraviglia che un uomo, per di più giudeo, si abbassi a parlare con lei. Ma qui entra in campo la grandezza di questo giovane uomo. E inizia la... rivoluzione. Rivoluzione culturale. Lui, il maestro, si mette a parlare con una donna, pure straniera. Extracomunitaria. I suoi discepoli, infatti, appena tornano e lo vedono parlare con lei, si meravigliavano che parlasse con una donna, scrive subito Giovanni.
Ma questo è solo il primo passo. Già, perché Gesù non si ferma qui. E pian piano, parlando con lei di acqua (del pozzo) e Acqua (della Vita), arriva a costruire un’intimità tale che li coinvolge entrambi in una relazione profonda. Porta lei a guardarsi nella sua fatica di vivere tra limiti e doveri di una donna in quel contesto sociale, e nel desiderio di trovare un senso anche ad una dimensione religiosa che pure le appartiene. E porta lui ad ascoltare e a cogliere in se stesso quell’identità che sta maturando. E a condividerla con lei, donna e samaritana, quindi doppiamente insignificante. E con lei per la prima volta, apertamente, si dichiara nella sua identità di Messia. Colui che ebrei e samaritani, pur lontani e reciprocamente squalificantisi, attendono come il liberatore. È un liberatore politico quello che aspettano. Sarà poi Gesù stesso a portarli a correggere il tiro: la liberazione che porta è molto più grande. È libertà da una religione che imprigiona dentro regole e tradizioni, piuttosto che dare il respiro di una relazione d’amore. Tra sorelle e fratelli. Tra figlie e figli di un Dio, padre-e-madre. E questa rivelazione di sé non la fa con le autorità religiose di Gerusalemme né con il governatore di Roma. Neppure con i suoi discepoli ancora. Lo fa, per la prima volta, e apertamente, con una donna.
Religioni e mondo femminile. Pur con i limiti che la parola stessa ci impone, non direste Gesù la rivoluzione, i taliban la controrivoluzione?
[1] Avvenire, 10 marzo
[2] Giovanni 4,5-42
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V'invitiamo a leggere Quanta strada ancora, 2023 e i vari pezzi indicati in fondo