Maria, intanto, se ne stava presso il sepolcro, lì fuori, e piangeva. [...] Vide Gesù che stava in piedi, ma non sapeva che fosse Gesù. Gesù le dice: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Lei, pensando che fosse il giardiniere gli dice: “Signore, se l’hai portato via tu dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le dice: “Maria”, e lei giratasi gli dice: “Maestro”.[1] È mattino presto. Era andata alla sua tomba per completare i riti della sepoltura.
Rileggo queste righe, Gesù, e rimango colpito dalla forza di quel nome, Maria. È una sola parola, ma dev’essere così intensa come esce da te che a questa tua discepola, immersa nello sconforto della morte, apre gli occhi, e subito ti può ri-conoscere. Mi chiedo come avrebbe potuto Giovanni raccontarci diversamente di questa pienezza di vita in cui tu la conduci. E, in lei, inviti anche noi ad entrare. Ma noi siamo disorientati.
Abbiamo chiamato questo momento resurrezione. Ma appena la pronunciamo ci rendiamo conto che è una parola così nuova che subito corriamo a ridurla, tanto è vasta la dimensione entro cui ci porta. Così ci siamo detti: beh, è semplice, dopo essere morto, Gesù è ritornato in vita, tutto qui. Poi però già queste righe ci mettono in confusione. Maria ti vede e non ti riconosce. Impossibile. Era stata tanto tempo con te, non ti riconosce? Proprio lei poi, Maria di Magdala, che con te aveva una relazione d’un’intensità unica se ascoltiamo quanto scrive Giovanni. E non dev’essere un caso se è proprio lei la prima che tu decidi d’incontrare in questa nuova dimensione di Vita con cui ti presenti. Dev’esserci, allora, qualcosa d’altro. Questa parola, resurrezione, gli evangelisti dicono risveglio (gr. eghèiro), dev’essere qualcosa di diverso. Ma cosa?
Sai, per noi è inevitabile pensarla come una sorta di rianimazione. Eri morto, e ora sei tornato vivo. Come facciamo, del resto, a pensare diversamente? La nostra esperienza è tutta qui: noi conosciamo la vita, adesso siamo vivi, e la morte. Anzi, della morte abbiamo un’esperienza solo indiretta: la conosciamo attraverso le persone che muoiono. Non sappiamo neppure cosa sia, proprio bene. Al punto che per quanto possibile cerchiamo perfino di eliminarla dai nostri discorsi, tanto ci spaventa. Oltre non sappiamo andare.
Eppure Pasqua per noi è una grande festa. Abbiamo perfino preso l’antico nome ebraico, e l’abbiamo fatto nostro: Pèsach, passaggio. Sì, è l’uscita dall’inverno: non a caso ne fissiamo la data nella domenica che segue il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Festeggiamo il passaggio dall’inverno alla nuova stagione. Niente di male, anche questo è pasqua. Ma, come vedi, ha la p minuscola. Perché a me piacerebbe intravvedere quel senso profondo che hai voluto dare tu a questa parola: Pasqua-Passaggio verso la pienezza di Vita.
Quale Vita? Qui non posso fare a meno di riprendere una parola che, ad ascoltare quanto ci scrivono i tuoi evangelisti, sembra una sorta di mantra nel tuo insegnamento. Una parola-chiave. Capace di aprire ogni porta. Amore – Agàpe scrivono i tuoi. Ed ecco che ti ritrovo in quel chiamare per nome questa tua discepola immersa nello sconforto della morte: Maria, una dichiarazione d’amore. Sentire questa parola, infatti, le basta per ritrovarsi immersa nella Vita.
Sarà questo, allora, ciò che noi chiamiamo resurrezione? L’immersione nella Vita, che anche per noi è immersione nell’Amore? Tutti conosciamo lo sconvolgimento che colora una relazione d’amore. Pur con i limiti con cui la quotidianità poi l’accompagna. Al punto, a volte, che lo riduciamo a semplice richiamo dei sensi, o lo confondiamo con una sorta di diritto al possesso della persona che diciamo d’amare. Con tutti i drammi che ne seguono.
Mi piace questo pensiero. Resurrezione uguale ri-trovarsi immersi in una relazione d’Amore. Con te. La pienezza di Vita e di Amore che hai saputo portarci, fino ad accettare la croce pur di non rinunciare a questo valore: la Vita ha senso se spesa nell’Amore. E Dio stesso, che tu hai saputo avvicinarci chiamandolo Padre, è semplicemente questo: l’Amore che è vita dell’Universo. Vita di noi che ne siamo parte.
Pasqua di resurrezione, allora, con te, è vivere nella vicinanza e nella solidarietà con gli altri, riscoprendoli sorelle e fratelli; resurrezione è saperci incontrare trasformando le spade in aratri e le lance in falci; resurrezione è condividere l’acqua e il pane con chi ha fame e sete; resurrezione è prenderci cura della terra, rispettandone gli equilibri naturali. E tu sai di questo quanto ce n’è bisogno. [2]
Se allora resurrezione non significa semplice rianimazione del tuo corpo, Gesù, aiutaci a entrare in questa novità che tu ci porti. Noi proviamo a ritrovare un po’ di silenzio: tu chiama anche noi, per nome, come hai fatto con Maria. Vedrai, sapremo anche noi ri-conoscerti... Maestro. E risorgere con te.
[1] Gv 20,14-16
[2] Cfr. Is 2,4; Mt 25,34-40; Gen 1,28
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