VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

24 dic 2023

Tra guerre, femminicidi, morti in mare... è Natale

Vieni, Signore Gesù

È parte integrante del nostro linguaggio la parola vita. In ogni lingua e in ogni cultura. Perfino quando parliamo dell’universo, sempre più avvicinabile dalla nostra comprensione e nello stesso tempo sempre più misterioso, nella sua duplice dimensione di micro e macro cosmo, è con questa parola che ci confrontiamo. Ne abbiamo misurata, meglio sarebbe dire ipotizzata, l’età, quasi quattordici miliardi anni, e ne immaginiamo il tempo spazio che avrà davanti. Numeri da capogiro. Conoscenze da capogiro, visto che ci troviamo costretti a rivisitare e ri-significare gli stessi concetti di spazio e di tempo. Energia e materia in continuo e costante scambio e interazione. Immaginiamo un multi-verso. La ricchezza di forme che ciò che chiamiamo vita ha assunto lungo il tempo spazio in questa fantastica e inimmaginabile evoluzione è così ampia che sfugge, per la molteplicità delle sue dimensioni, al nostro desiderio di comprensione e di conoscenza.

Ma c’è un aspetto che più d’ogni altro ci disorienta. La vita, come un Giano bifronte, ha due facce. Così, almeno, si presenta al nostro sguardo. Vita-e-morte. In un legame indissolubile. Che tutto avvolge. Di fronte a questa duplicità rischiamo di perdere l’orientamento. Tutta la natura si misura con questa dimensione. Piante, animali. Perfino homo sapiens. Noi, che ci consideriamo il gradino più alto di tutto il processo evolutivo.

 

Ogni essere vivente mette in atto strategie di sopravvivenza. È il richiamo della vita. La pianta che sente avvicinare la morte, perché ha termine il tempo che la natura le concede, non sembra disorientata. O persa. La sua sopravvivenza la gioca rendendosi utile alle altre sorelle, in un dialogo che continua nel terreno che la ospita. Ne ha coscienza? Chi sa dirlo! Gli animali. Guardiamo un gatto o un cagnolino. O anche un leone o un lupo. Quando sentono che il loro tempo sta finendo si ritirano in solitudine. Come se per salutare la vita ed entrare nella nuova dimensione avessero bisogno di ricorrere a tutte le loro forze. La reazione di fronte al cambiamento che si vedono davanti ci fa parlare di coscienza. Noi diciamo che l’animale sa di dover morire. Che lo sente. Qui, però, sembra fermarsi la loro percezione.

 

Altro siamo noi. La coscienza diventa auto-coscienza. Consapevolezza. Al punto che abbiamo cominciato a farci domande. E le domande diventano ricerca. La domanda delle domande, infatti, esprime la ricerca di senso. Il senso della vita e il senso della morte. Perché la morte? Quale ne è il senso? E, accanto, qual è il senso della vita se poi essa scivola verso la morte?

È questa ricerca che ci ha portati a fare un passaggio. Molto ardito. Ma è un passaggio di Vita. Di luce. E abbiamo incontrato, pur con tutti i limiti e le contraddizioni che tuttora la colorano, la dimensione religiosa.

Parlavo di limiti e contraddizioni perché proprio questa dimensione, che ci permette di oltre-passare la morte e di proiettarci in una dimensione di Vita che la trascende, l’abbiamo poi inquinata con sistemi di regole e tradizioni, norme e precetti, che rischiano di ridurla più a una cella carceraria che ad una vetta di libertà verso il cielo.

 

È strano. Proprio in questo periodo che la tradizione ci presenta come una festa di luce, il Natale, ci vediamo costretti a misurarci con l’oscurità della violenza che genera morte. Giulia e le altre cento uccise in un solo anno nel nostro paese dall’uomo con cui avevano condiviso una relazione d’amore. Donne uomini e bambini, costretti a scappare dalla loro terra per poter vivere. Che noi continuiamo a respingere e a rifiutare, chiusi come siamo in una visione della vita che esclude ogni senso di fraternità. Già 2mila500, solo quest’anno, annegati nel Mediterraneo: domenica scorsa gli ultimi ottanta. La guerra. L’Ucraina, da due anni costretta tra macerie e morte. Gaza, Cisgiordania, Israele prigionieri di un dramma che ha solo odore di morte. E non lascia intravvedere vie d’uscita. Iran, Afghanistan dove perfino la religione, conquista straordinaria del pensiero umano, è ridotta a strumento di non vita, in contraddizione con se stessa: anziché via di libertà, è strumento di oppressione.

 

E arriva il Natale. Pieno di lucine, sì... Ma c’è posto per la Luce che l’Uomo di Nazareth è venuto a restituire all’umanità immersa nella notte? Il Vangelo racconta che per lui, al momento della nascita, non c’era posto nella casa.[1] Non si tratta certo di una casa di pietre o di mattoni: chi avrebbe negato ospitalità a una donna che doveva partorire? È nella casa mondo, nella casa degli umani che non c’era posto per la Vita. Per la Luce. E oggi? È alla vita che facciamo posto o non piuttosto alla morte? All’oscurità. Alle tenebre.

Nell’ultima pagina della Bibbia leggiamo: Vieni, Signore Gesù.[2] Sì, Gesù, vieni. Con te potremo ridare Vita alla vita.

Buon Natale!

 

 

[1] Luca 2,7

[2] Apocalisse 22,20

 

*

 

V'invitiamo a leggere:  La pace da ritrovare 2022,   Pé st'amore so nato 2021,   Un Natale nuovo 2020,   Gesù ebreo 2019