La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: Vincere! E vinceremo! Per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo. Così Mussolini concludeva il discorso in cui annunciava al Popolo italiano l’avvenuta dichiarazione di guerra a Gran Bretagna e Francia. Era il 10 giugno 1940. E tutti sappiamo com’è andata a finire. 1945, Italia distrutta, Germania tagliata in due, Berlino divisa da un muro che vedrà ancora tanti morti. Un’Europa spartita tra i vincitori. Stalin da una parte, Roosevelt e Churchill dall’altra – oltre a un Giappone con Hiroshima e Nagasaki. Abbiamo dovuto aspettare mezzo secolo perché ogni nazione potesse ritrovare la propria libertà. Poi meno di ottant’anni perché questa libertà si vedesse di nuovo soffocata.
E la guerra è tornata anche a casa nostra. Sembra qualcosa di congenito: non c’è stato tempo, nella storia dell’umanità, in cui era soltanto la pace a guidare le relazioni tra i popoli. In una parte o nell’altra la voce delle armi, dalla clava all’atomo, era ed è lì, pronta a sopraffare il suono della parola.
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo
[...] Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta...[1]
Se la Cina fornisse armi alla Russia reagiremmo s’è precipitato a dichiarare Biden. Sono parole che costruiscono? No. Una minaccia non costruisce. Minaccia chiama minaccia. La Cina s’è fatta viva con una proposta per la cessazione delle ostilità. Non sono il massimo i suoi dodici punti, non troppo allettanti, ma la dichiarazione che priorità immediata è un cessate il fuoco e la fine della guerra non è un appiglio da afferrare? È la prima volta che questa grande potenza – tutt’altro che democratica, certo, potenza tuttavia con grande peso internazionale – si espone. E lo fa dicendo agli uni e agli altri che devono fermarsi.
Sì, una pace dev’essere giusta: non c’è pace senza giustizia continuiamo a ripeterci. E siamo d’accordo. La pace sarà in vita quando anche la giustizia vivrà con lei. Ma la pace è obiettivo lontano. È il traguardo finale. Un lungo viaggio ci aspetta per raggiungerla nella sua pienezza di luce. Ora c’è una prima tappa da conquistare, la non-guerra. È questo il primo obiettivo. Togliere dal campo la morte. Sorella inseparabile della guerra.
Chi salva una vita salva il mondo intero, ricordavamo qualche settimana fa leggendo il Talmud. Pensiero ripreso perfino dal Corano – dico perfino perché qui poi queste parole vengono inserite in una casistica che rischia di diluirne la portata.[2] Questo pensiero dovrebbe guidarci ora. Nell’immediato. È come un’emergenza da pronto soccorso: il medico nell’immediato deve impedirmi di morire; poi faremo esami e accertamenti per arrivare a un piano terapeutico che mi faccia recuperare lo stato di salute. La non-guerra toglie la falce dalle mani della morte. Questo è il primo obiettivo. E da chiunque giungano proposte che facciano tacere le armi dev’essere il benvenuto. Fossero anche gli ayatollah iraniani o i taliban dell’Afghanistan.
Ciò che mi colpisce è che i nostri governanti non riescano ad entrare in questa logica. Non c’è pace senza giustizia rischia di congelare ogni sforzo e togliere ossigeno vitale ad ogni passo. Sia pur minimo. Non è possibile che anche i nostri politici, rappresentanti di nazioni dalla democrazia antica e consolidata, continuino a gridare il mussoliniano Vincere e vinceremo! Lo fanno Zelensky e Putin. Ma a loro è concesso: sono nel mezzo delle ostilità. Aggredito e aggressore. Non possiamo pretendere che siano in grado di rinunciare al pensiero che la vittoria si conquista con la forza delle armi. È comprensibile che non riescano ad andare oltre: il bagliore dei missili è troppo forte perché lo sguardo possa cogliere il richiamo della vita. È nostro il compito, dei nostri governi, aiutare entrambi a vedere che far morire altre migliaia di persone, militari e civili, non porta da nessuna parte. Porta solo altra morte. Se duecentomila morti non sono sufficienti per deciderci per la non-guerra, non saranno altri duecentomila cadaveri a portarci verso la pace giusta che tutti desideriamo.
Nessun traguardo è raggiungibile saltando le tappe. Prima la non-guerra. Un cessate il fuoco. Poi i primi accordi. Provvisori. Frutto di mediazioni e compromessi. Diplomazie al lavoro e armi ferme. USA e Cina mettano in seconda linea le loro ostilità e aprano lo sguardo ai tanti morti, alla distruzione, e al drammatico squilibrio dell’intero ecosistema che la guerra contribuisce a potenziare. E l’UE ritrovi la sua voce. Anche solo perché c’è un’emergenza: la guerra è a casa nostra. Con le (sole) armi... non vinceremo! Nessuno vincerà.
[1] Quasimodo, Uomo del mio tempo
[2] Corano 5,32-34
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V'invitiamo a leggere: L'inganno della guerra, La vogliamo davvero la pace?, Chi ferma la guerra?, Pacifisti, Bullìte, Tra Putin e Francesco