VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

1 set 2024

Nel silenzio generale il giorno dell’esaurimento del pianeta

Dice il sazio: la fame non esiste

C’è un pensiero che accomuna le varie culture, anche di popoli lontani tra loro, nel tempo e nello spazio: i testi che l’umanità guarda come sacri (Veda, Bhagavadgītā, Bibbia, Corano…) sono l’espressione più alta della saggezza e della sapienza di un popolo. E come tali dovremmo imparare ad ascoltarli, sia che ci diciamo credenti o non credenti, religiosi o laici o atei, o in qualunque altro modo vogliamo vederci. È con una di queste pagine che oggi ci misuriamo. È nella Bibbia, in quella parte che la comunità di Giovanni scrive, in Asia Minore, agl’inizi del secondo secolo. Non è una cronaca. Anche se tale sembra. È un segno. Che chiede di andare oltre il semplice racconto.[1]

Tanta gente ha seguito Gesù. E a fine giornata non hanno di che mangiare. Lui se ne preoccupa. Poi inizia a distribuire pane e pesci: un bambino gli ha messo a disposizione i suoi cinque pani d’orzo e due pesci. E tutti ne mangiano. Ma lo stomaco pieno fa un brutto effetto: vogliono farlo re. Un trionfo! diremmo noi. Ma Lui non la vede così. E, deluso per l’incomprensione del segno con cui aveva parlato, non gli rimane che ritirarsi sul monte, scrive Giovanni. Deluso, perché li vede prigionieri di un pensiero: è arrivato uno che ci risolve i problemi! Pensiero plausibile. E sempre attuale. Non ci siamo anche noi dentro, quando, credenti o anche no, pretendiamo che un qualche dio risolva il problema del male, della violenza, delle ingiustizie che inondano la terra? Non pensiamo così quando lo imprechiamo perché… non fa venire un colpo a Putin e a tutti i putinini che governano il mondo? Dimenticando, però, che in realtà siamo noi a tenerceli.

 

Un mese fa, il 1° agosto, abbiamo raggiunto l’Earth overshoot day, il giorno dell’esaurimento delle risorse che la terra può mettere a nostra disposizione per quest’anno. Da un mese, infatti, consumiamo ciò che non abbiamo: stiamo erodendo quanto la terra dovrà produrre negli anni prossimi. È l’antropocene. Il prevalere dell’umanità su tutto e su tutti. (Ad essere onesti, noi italiani avevamo già esaurito tutto il 19 maggio: è solo grazie a popoli che sfruttano di meno il pianeta che la data media è il 1° agosto). Ricerche recenti degli organismi ONU che si occupano di alimentazione, ci dicono che su 8miliardi, quanti siamo, quasi 800milioni non hanno cibo sufficiente per vivere: 1 persona su 11 (1 su 5 in Africa). Nello stesso tempo nei paesi del benessere ci sono 1miliardo di persone obese. E non per disfunzioni organiche, ma semplicemente perché mangiamo troppo. Quindi…?

 

Ritorniamo al racconto. Lui si ritira sul monte. E i discepoli? Non rimangono con il resto della gente, ma neppure seguono Lui. Prendono la barca e vanno dall’altra parte. Hanno capito che non c’è aria di miracolo. Il miracolo possono farlo loro se entrano nella logica che il Maestro propone: ciò che abbiamo non è solo per noi, ma va con-diviso, va messo a disposizione anche degli altri. Ma questo discorso è duro. E nell’attraversare il lago, che loro chiamano mare, sono nella tempesta. È la tempesta che si agita nel cuore, è l’agitazione interiore. Sto con Lui o no? Ho capito cosa mi propone: ma chi me lo fa fare di condividere tutto il benessere di cui godo, le tante cose, necessarie e superflue, di cui è piena la mia vita? Sto tanto bene così. Gli altri… Prima noi! E se proprio avanza qualcosa… anzi, sarà meglio tenercela. Se poi non basta più neppure a noi?

La soluzione, dice questo testo sacro, sta nell’entrare dentro il pensiero di quel bambino: non tiene per sé ciò che ha, non lo mette sul mercato dandolo al miglior offerente. Quello che ha lo mette a disposizione. Lo con-divide. E così Gesù lo può distribuire (attenzione, distribuire dice il testo, non moltiplicare, non c’è nessuna moltiplicazione) a quelli che hanno fame, a chi è nel bisogno.

È la nostra storia. Quando i nostri occhi vedono solo noi. Quando quella che chiamiamo fede è solo religione. Quando ci chiamiamo fratelli e sorelle, ma solo in quella mezz’ora a settimana, in chiesa o nella moschea o nella sinagoga. O anche solo quando ci concediamo un momento per guardare con attenzione noi e il mondo di cui siamo parte. Poi però, subito, al travaglio usato / ciascuno in suo pensier farà ritorno. E il problema della fame, o della desertificazione o del surriscaldamento o del sovrasfruttamento del pianeta… ci penserà qualcun altro!

È vecchio come il mondo il pensiero che deve pensarci qualcun altro a risolvere i problemi che noi stessi creiamo con il nostro modo di usare ciò che la terra ci mette a disposizione. Norma, la sacerdotessa del Dio Irminsul, nel subbuglio dei sentimenti si rivolge alla Luna: Casta diva… spargi in terra quella pace che regnar tu fai nel ciel, canta.

Ma la pace, che è l'altra faccia della giustizia, nel guazzabuglio del cuore come nelle relazioni tra i popoli, solo noi la possiamo costruire. E conservare.

 

[1] Giovanni 6,1-21

 

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