«La legge determina le condizioni nelle quali si esercita la libertà garantita alla donna di far ricorso ad un’interruzione volontaria di gravidanza - La loi détermine les conditions dans lesquelles s’exerce la liberté garantie à la femme d’avoir recours à une interruption volontaire de grossesse». Questo il nuovo comma che il Parlamento francese ha aggiunto all’Art. 34 della Costituzione. Molto se n’è parlato questi giorni. Proviamo qui a fare qualche riflessione, muovendoci per oggi su due aspetti: il significato dell’inserimento di una norma nella Carta costituzionale, e cos’è per noi una gravidanza, sia in vista di una possibile interruzione sia nella prospettiva di favorirne la prosecuzione.
La Carta costituzionale è la base sulla quale si fonda ogni disposizione di legge. Ciò comporta che accanto alla garanzia di libertà per una donna di far ricorso ad una interruzione volontaria di gravidanza, ci sia pari garanzia di libertà per la donna di usufruire di ogni assistenza necessaria per portare avanti una gravidanza. Non trattandosi di una semplice diposizione di legge, ma della Carta che sta a fondamento di ogni legge, entrambe le voci dovrebbero essere presenti. Sarano poi le singole leggi a definirne nel dettaglio l’operatività, sulla base, appunto, di quanto prevede la Carta costituzionale. Ma questa non può restare monca: è necessario che sia definita ed esplicitata questa doppia garanzia di libertà. Nell’una e nell’altra direzione.
L’altro aspetto da considerare ci pone davanti ad una domanda. Fondamentale. L’ovulo fecondato, l’embrione, possiamo/dobbiamo considerarlo persona, possiamo/dobbiamo considerarlo vita umana, possiamo/dobbiamo considerarlo semplice agglomerato di cellule in evoluzione? Chi e sulla base di che cosa può dare una risposta a questa domanda?
Non è la scienza, intesa come ricerca da laboratorio, che può darci la risposta. Che può definire il significato di una gravidanza. Biologia e medicina sanno dirci cosa avviene dal primo all’ultimo giorno, nei dettagli e per tutto il tempo. Dalla fecondazione al parto. Dall’embrione fino al neonato. Ma dare una risposta alla domanda che ci stiamo ponendo comporta aspetti di complessità che esulano dalle conoscenze che definiamo scientifiche. Il laboratorio non ha gli strumenti per rispondere. Dare il nome giusto a quanto sta avvenendo nell’utero di una donna nei nove mesi di una gravidanza è compito della filosofia. Di quella scienza, cioè, che ci permette di dare significato alle nostre esperienze. È il nostro pensiero, laico o religioso, che solo può condurci verso una risposta. E la costruzione di questa è guidata dai valori che prendiamo come riferimento. Che orientano le nostre scelte. La differenza tra chiamare l’embrione, nelle sue fasi di sviluppo, agglomerato di cellule in evoluzione o chiamarlo persona in fase primordiale, è sostanziale. Chiamarlo vita umana, anche questo fa la differenza.
Se lo vedo come semplice agglomerato di cellule, non c’è ragione per obiettare di fronte ad un’interruzione di gravidanza. Se invece parlo di persona, abortire diventa uccidere. E se parlo di vita umana, il problema mi si pone ugualmente: interrompere una gravidanza significa interrompere una vita umana, impedirle di fare il suo naturale percorso.
Noi qui abbiamo parlato più volte di questa problematica. È evidente, credo, come dalla risposta che sentiamo di poter/dover dare a questa domanda fondamentale dipende il significato che ha per noi un aborto. È necessario che ciascuno personalmente, così come una società civile, possa costruirsi il proprio pensiero. Informandosi, confrontandosi, ascoltando e riflettendo sul valore e sul significato di una gravidanza.
Dove sono io? Di certo, secondo me, dobbiamo parlare di vita umana. Mi chiedo, e la domanda è aperta, se anche la parola persona possa/debba essere usata fin dagli inizi.[1]
Diritto all’aborto, allora? No. Intanto non è questo che la Francia ha inserito nella sua Costituzione, ma la libertà garantita di potervi accedere. Poi credo sia importante chiarire che non è un diritto l’aborto. Diritto è poter disporre di tutta l’assistenza, medica psicologica sociale, nelle situazioni in cui una donna (con il suo compagno, quando c’è) si veda nelle condizioni di non poter prendere altra strada se non quella d’interrompere la gravidanza. Che non debba affrontare un percorso ad ostacoli per trovare una struttura che risponda, in tempi e modi adeguati, alla sua situazione. Senza dimenticare, nello stesso tempo, che è diritto fondamentale che la società civile garantisca servizi in grado di supportare, adeguatamente, chi la sua gravidanza intende portarla a termine. Senza dover pagare costi, economici sindacali sociali sanitari, che diventano ostacolo anziché aiuto.
[1] V. sotto
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Invitiamo a leggere: La scienza ha un'anima? (1) 2011, Inizia una nuova vita? (2) 2011, È vita umana (3) 2011, L'aborto e la legge 2019, Mille facce 2020, Due tra le mille facce 2020, Tra diritti e diritti 2022, Il dolore dell'aborto 2014