Che una religione possa stabilire regole proprie e fare, delle sue cose, ciò che ritiene più giusto, nulla quaestio. Libera chiesa in libero stato è regola maestra per una politica sana. A ciascuno, nel suo ambito, va riconosciuto il diritto alla piena autonomia. Nessuno dei due può permettersi d’invadere spazi propri dell’altro. Nel mondo occidentale questo è principio ormai saldamente acquisito. Diverso invece il pensiero che, ancora, sembra guidare parte del mondo islamico: tante le forze che spingono perché legge religiosa e legge civile coincidano. Iran e Afghanistan, solidi capofila.
Possiamo dire libera religione in libera scienza? Anche qui rispetto reciproco significa riconoscimento dell’autonomia di ciascuna nel proprio ambito di competenza. È ormai un classico la storia di quattro secoli fa tra la chiesa e Galileo. Quando la confusione delle competenze aveva portato al conflitto tra ciò lo scienziato con i suoi studi veniva scoprendo, e quanto la chiesa, alla luce di ciò che leggeva nei suoi testi sacri, continuava a imporre come la verità.
Nessuno oggi si sognerebbe d’interrogare la Bibbia o il Corano o i Veda sul sistema solare o sull’espansione dell’universo, sull’origine della nostra specie o sulla teoria del big bang. L’autonomia delle scienze nel proprio ambito di ricerca è fuori discussione. Ma se sulle intuizioni della fisica quantistica, sulla relazione spazio-tempo nessuna religione oggi si metterebbe in cattedra, non è così quando entriamo nella dimensione affettiva-e-sessuale dell’essere umano. Nazioni dove, alla luce di principi religiosi, l’orientamento omoaffettivo (omosessuale) è considerato reato, punibile addirittura con la morte, fanno ancora parte del nostro mondo. Ma normalità o patologia, nel senso di sanità o malattia, non può essere una religione a definirle. Sembra una regola chiara, ovvia. Eppure, non è ancora così. Non si spiegherebbe altrimenti come l’omoaffettività possa essere considerata peccato sul piano morale, o reato sul piano giuridico. In buona parte del mondo, islamico e non solo, questa tutt’oggi appare la situazione.
E nella chiesa cattolica? C’è un documento del dicembre scorso, Fiducia supplicans (Fiducia supplicante), in cui, superando disposizioni precedenti, si autorizza la benedizione alle coppie dello stesso sesso. Esplicitando, comunque, che ciò non rappresenta una forma di approvazione dell’unione tra i due. Reazioni molto diverse l’hanno seguìto, da condivisioni entusiaste a contestazioni altrettanto rumorose. Tanto che Francesco s’è trovato a dire: “Nessuno si scandalizza se do la benedizione a un imprenditore che magari sfrutta la gente: e questo è un peccato gravissimo. Mentre si scandalizza se la do a un omosessuale. Questa è ipocrisia. Ci dobbiamo rispettare tutti, tutti. Il cuore del documento è l’accoglienza”. Parole forti e incontestabili. La chiesa, tuttavia, continua a proporre un Catechismo che definisce gravi depravazioni, intrinsecamente disordinati, contrari alla legge naturale i rapporti di chi vive una relazione di coppia, pur stabile e nell’amore reciproco, ma… con una persona dello stesso sesso.[1] Una domanda, allora, diventa inevitabile: è accoglienza o rifiuto?
La scienza medica e psicologica ormai da anni, attraverso studi e ricerche, è giunta a definire normale, escludendo cioè ogni forma di disturbo o patologia, l’orientamento omoaffettivo che vivono alcune persone. Normalità significa sanità, salute. Fisica e mentale.
Con un atto di coraggio, sei anni fa, Francesco guida la chiesa verso un cambio radicale su un punto della sua dottrina. Se prima, a determinate condizioni, non escludeva la legittimità del ricorso alla pena di morte, oggi la chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona; e s’impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo.[2] Era un atto dovuto. Per i cristiani e per l’intera umanità. Ed è arrivato.
Ora un altro atto di coraggio si rende necessario: cambiare, alla luce di quanto è acquisito dalla scienza, la dottrina sull’omoaffettività. Riconoscendone la piena normalità/sanità. Superando così ogni forma di emarginazione, in una relazione di accoglienza vera, totale. E nello stesso tempo restituendo a quelle pagine della Bibbia cui continua a riferirsi l’attuale dottrina, il loro significato autentico, che può essere colto e rispettato solo ricollocandole nel contesto storico culturale in cui sono nate. Altrimenti rischiamo di ripetere, in pieno XXI secolo, l’errore di quattrocento anni fa: leggere i libri sacri come fossero testi di scienza anziché pagine di spiritualità e di teologia. Altro atto dovuto. Ci contiamo.
La verità vi farà liberi insegnava il Maestro di Nazareth.[3]
[1] Catechismo, 2357-2359
[2] Catechismo, 2267
[3] Giovanni 8,32
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