29 set 2024
Una domanda di fondo: viene prima la legge o la persona?
Il sabato e l’uomo
Ci è piovuto addosso, questi giorni, sulle reti televisive e sui social, lo spot di uno dei ministri della Repubblica che si sente vittima di persecuzione giudiziaria per aver difeso i confini della nazione. Verrebbe da chiederci difeso… da chi? Da un nuovo sbarco degli Alleati come nel ’43? O dai turchi di Ahmed Pascià del 1480? Neppure i carrarmati di Putin s’intravvedevano all’orizzonte. Chi minacciava i confini della nazione erano 147 persone che Open Arms aveva salvato nelle acque del Mediterraneo e chiedevano di poter scendere a terra.
È agosto 2019, da ministro dell’Interno, appellandosi al cosiddetto decreto sicurezza bis, impedisce alla nave dell’ong prima l’ingresso nelle acque italiane poi lo sbarco dei naufraghi. Per 19 giorni difende strenuamente i confini della patria da quest’orda d’invasori, finché il 20 agosto deve cedere: la Procura di Agrigento ne autorizza lo sbarco. E oggi, non solo non viene ringraziato dalla nazione, ma addirittura deve affrontare un processo e rischiare il carcere perché in Parlamento la sinistra ha deciso che difendere i confini italiani è un reato. Così dichiara. Ora, se sia colpevole o innocente di fronte alla legge non lo so. Non ne ho la competenza né è mio compito stabilirlo. Valuterà la magistratura, e deciderà o per una condanna o per l’assoluzione. Nel frattempo, il ministro è innocente di fronte alla legge, e in attesa di giudizio. Come qualunque altro cittadino.
Ma la nostra riflessione dobbiamo portarla su un altro piano. Quello umano. Se sia giusto, cioè, che per ragioni politiche persone già duramente provate da una traversata fatta in condizioni estreme, vengano costrette a rimanere in una situazione di grande disagio che può solo aggravare il loro stato di salute, fisica e mentale.
Questa vicenda ci pone di fronte ad un quesito che da sempre accompagna la storia: cosa debba prevalere, quando tra loro c’è conflitto, tra una norma scritta e i diritti umani. Di recente abbiamo riflettuto su certe leggi in Afghanistan o in Iran sulla condizione della donna, evidenziandone il grande contrasto con i valori umani. Come ormai classica è la giustificazione cui ricorrevano i gerarchi nazisti a Norimberga: ho eseguito gli ordini. Come se non ci fosse una legge, non scritta nei codici ma in-scritta nella coscienza dell’essere umano, che chiede di valutare gli ordini, chiunque sia a darli. Sappiamo bene come la diversità di pensiero e di opinione sia anch’essa parte della storia di homo sapiens. Ed è una ricchezza. Ma quando cerchiamo di valutare un’azione o un comportamento diventa importante definire a cosa diamo la precedenza: se alla norma scritta o a valori che la oltrepassano, come sono i diritti fondamentali dell’essere umano. Nel 1948 l’Assemblea delle Nazioni Unite ha sentito la necessità di scrivere la Dichiarazione Universale dei diritti Umani. Che l’Italia ha recepito e fatto propria. Questa, a mio parere, dovrebbe essere la base sulla quale ogni disposizione di legge pone le sue fondamenta. Al punto che in caso di conflitto, la norma che scriviamo nel codice va corretta, cambiata. Ma perché questo possa avvenire è importante che ci ritroviamo in un punto. Solido. I diritti umani vengono prima di qualsiasi legge o disposizione o tradizione o cultura o religione. Quando c’è di mezzo la persona, la sua vita, qualunque sia la legge scritta, da chiunque sia emanata o approvata, questa non può che essere letta e interpretata in difesa della vita umana.
Duemila anni fa, in una delle frequenti controversie con le autorità politico-religiose del tempo, il Maestro di Nazareth così sintetizza il suo pensiero: il sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato.[1] In quella cultura il sabato significa la legge. Il rispetto del sabato è legge fondamentale. Esso, infatti, nasce con l’uomo: nel mito delle origini il settimo giorno il Creatore cessa (ebr. shabat, da cui sabato) la sua attività. E se è Dio a farlo, tutti devono fermarsi il settimo giorno. Ma il sabato, dice il Maestro, è fatto per l’uomo, e non viceversa: prima c’è l’uomo, poi la legge. Qualsiasi legge. E nell’eventuale conflitto è dell’uomo il primo posto. Già duemila anni fa. E oggi?
Ricapitoliamo. Che il ministro, decidendo d’impedire lo sbarco a quei migranti, sia innocente o colpevole per la legge italiana, sarà la Magistratura a definirlo. Ma di fronte alla legge umana il suo comportamento è deprecabile. Inaccettabile. Non solo. Vittima, nell’intera vicenda, non è un ministro che deve affrontare un processo: vittime vere sono i profughi costretti a rimanere in condizioni disastrate senza poter scendere a terra. Prima dei confini della nazione va difesa e tutelata la vita umana. Non può questa essere sacrificata a interessi di parte. Siano essi politici o economici o finanziari o di qualsiasi altro tipo.
[1] Marco 2,27
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