VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

27 ott 2024

Il suicidio di un quindicenne ci interroga

La domanda di Leo

Questi giorni un fulmine ci ha colpiti. Un ragazzo di quindi anni ha deciso di togliersi la vita. Impensabile, verrebbe da dire. Ma impensabile non è. Il dolore, la sofferenza, la disperazione possono entrare anche in un cuore così giovane. Ora la magistratura sta cercando indizi per cogliere possibili ragioni per un gesto così estremo, ad un’età in cui la voce della vita è molto più alta di quella della morte. Ma quella parola terribile, e sottovalutata, che è bullismo, quando si presenta porta con sé nubi così spesse da oscurare perfino la luce del sole. La luce della Vita. Questo, al momento, sembra il contesto in cui il dramma di Leo è maturato. Ma ora lasciamo a chi indaga la libertà di muoversi, almeno nella ricerca della verità dei fatti.

 

Noi proviamo ad entrare in una zona più profonda. Al punto da permetterci domande che ci chiamino in causa, visto che, tanto spesso, il nostro sguardo è tutto rivolto fuori. Quasi a liberarci da possibili pensieri di responsabilità o sensi di colpa. Una prima scappatoia che attiviamo è la solita frase i giovani di oggi… Seguita poi dalle più svariate considerazioni. Che sempre, comunque, ci fanno guardare altrove e, soprattutto, mettono al sicuro le nostre coscienze. Così tracciamo una linea: da una parte i giovani di oggi, dall’altra noi, gli adulti di oggi. E il confine è invalicabile. Ragazzi e adulti, due mondi. Ma questo è un imbroglio.

Sappiamo bene, infatti, che l’aria che respirano i nostri figli è l’aria che noi offriamo. Con i nostri valori e disvalori. Le scarpe firmate o il telefonino da mille euro a otto anni; la cameretta stracolma di cose al punto che non ci si può neppure muovere; schermi luccicanti di fronte ai quali li mettiamo, anche a due tre anni d’età, al ristorante, o anche a casa, così stanno fermi e non ci rompono; tv sempre accesa a pranzo e a cena così evitiamo la fatica di ascoltare e di parlare, tra noi e con loro… Risultato? Bambini e ragazzi, e noi adulti, in perfetta solitudine. Interlocutore unico lo smartphone o qualche altro aggeggio simile.

 

Due agenzie educative abbiamo per aiutarli a crescere. La famiglia e la scuola. Riportava la stampa, qualche giorno fa, che un magistrato avrebbe dichiarato “Chi arriva a compiere un gesto estremo ha altri traumi dietro il disagio, va cercato anche in famiglia”. Sì, caro dottore, cerchiamo anche in famiglia, ma la famiglia da guardare non è solo quella del ragazzino che sta male o che addirittura si toglie la vita. Sono le famiglie che dobbiamo guardare. Le nostre famiglie. E chiederci dove siamo, noi, genitori zii nonni. Quanto tempo spendiamo con i nostri bambini e i nostri ragazzi. E se poi ci chiediamo come può un quindicenne arrivare ad un gesto così estremo e la famiglia non accorgersi, nello stesso tempo dobbiamo chiederci anche dove sono le famiglie dei cosiddetti bulli. Dove guardano i loro occhi. Al punto da non accorgersi che il figlio o la figlia, per reggersi in piedi, ha bisogno di aggredire, con parole sguardi messaggi social, un suo compagno. Senza un minimo di consapevolezza sulla gravità di ciò che sta facendo.

E la scuola? Smettiamola di giustificare con la solita storia degli stipendi troppo bassi. Certo, questo è un problema, vero, che va affrontato. Ma anche sottopagato, un insegnante è un maestro di vita. In lui i suoi alunni, i suoi studenti, vedono un modello. Nel bene o nel male. Mi diceva un ragazzino, più o meno l’età di Leo, che la sua prof ha dichiarato alla classe che l’ultima ora del sabato lei non fa lezione perché a fine settimana è stanca. Qualche giorno prima ne avevo sentita un’altra. Una ragazza s’era addormentata sul banco. Il prof dice: se aveva sonno, poteva restare a casa a dormire. E la lascia lì. S’è interrogato, forse, su quale possibile disagio lei potesse vivere? È normale, sano, che a quindici anni ci si addormenti sul banco di scuola? Ma lui doveva fare la sua lezione: c’è un programma da seguire… No, prof, il primo programma da seguire è la cura dei tuoi studenti, la loro crescita. A te li affida la società, e non solo perché tu insegni loro il teorema di Pitagora o parli della prima guerra mondiale. Te li mette davanti perché tu li aiuti a crescere cittadini consapevoli. E magari, anche, perché tu possa dare loro ciò che quella famiglia, del bullo o del bullizzato o di chi s’addormenta in classe, non è in grado di offrire.

 

Leo oggi ci fa una domanda che non possiamo far finta di non sentire. E per risvegliarci dal sonno s’è sparato un colpo di pistola. Lui e i suoi amici ci chiedono dove siamo noi adulti. Anche noi con i nostri telefonini, o capaci anche di spendere il tempo per ascoltarli e far loro sentire che sono proprio loro la cosa più importante nella nostra vita?

I bambini, i ragazzi nelle tante cose con cui li riempiamo trovano solo noia. Loro hanno bisogno del nostro tempo. Di un tempo condiviso.

 

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V'invitiamo a leggere:

a) bullismo: Lucio 2015,  La debolezza del bullo 2016

b) suicidio: Le nostre domande aperte 2012,  La strada del perdono 2012,  Una sorgente di speranza 2012,  Il suicidio e la colpa 2017