Qualcuno lo ricorderà, altri l’avranno visto in qualche ciclo di film d’essai, o almeno ne hanno sentito parlare. Ha già cinquant’anni La grande abbuffata di Marco Ferreri. Quattro amici, Ugo Philipe Marcello e Michel (nel film con i loro nomi veri), quattro spiantati, nella mente, non nel conto in banca né sul piano sociale, decidono di lasciare la propria vita, le relazioni, il lavoro per riunirsi in una villa alla periferia di Parigi. Arrivano anche quattro donne. Il progetto: mangiare, mangiare, mangiare… fino a morirne. E tra cibo sesso e lordure d’ogni genere, uno dopo l’altro raggiungono l’obiettivo.
È a questo film che va la mia mente di fronte alla notizia che i primi giorni di giugno ci dà il New York Times. In una tribù dell’Amazzonia nove mesi fa arriva Internet. Fino ad allora i Marubo, una comunità di duemila persone, dispersi in piccoli villaggi lungo la foresta fluviale, vivevano completamente isolati dal resto del mondo. Improvvisamente sono inondati dalla connessione. I satelliti Starlink ora sono anche a loro disposizione. Immaginabile, credo, lo shock che un evento di questo genere può aver provocato in una popolazione abituata a ritmi di vita guidati unicamente dalla luce del sole e dalle piogge, nel ritmo delle stagioni. Con la caccia e la coltivazione dei campi, essi vivono in piccole comunità, in capanne comuni sparse per chilometri lungo il fiume Ituì. Erano connessi con la natura, il mondo dei loro avi e gli spiriti della foresta. Ora lo sono con Internet.
Drammatica l’immagine che ce ne dà il NYT. Cinquanta miglia a piedi hanno dovuto percorrere i suoi giornalisti per raggiungere questi villaggi. Grandi benefici la rete ha portato, possono essere in contatto con parenti e amici lontani come pure chiedere aiuto in caso di necessità, ma grande è il prezzo che stanno pagando. Non in dollari o in altra valuta commerciale. Il prezzo è la contropartita: donne e uomini abituati a lavorare, muoversi, vivere in comunità, ora sono lì, attaccati ai cellulari. E la situazione è cambiata radicalmente. “Mentre stavamo parlando, scrivono i reporter, gli occhi di tutti erano sugli schermi, i ragazzi scorrevano Instagram, un uomo mandava messaggi alla sua ragazza; altri erano riuniti intorno a un telefono per seguire una partita di calcio”. Tutto questo mentre parlava il capotribù. Impensabile, solo qualche mese fa.
“Quando è arrivata internet tutti erano felici, dice Tsainama Marubo, una donna del villaggio, 73 anni. Da questi schermi si apriva un mondo a noi sconosciuto. Ma le cose ora sono peggiorate. Sono tutti lì, concentrati sui telefonini. Sono diventati pigri. Non parlano, non lavorano, non si muovono. Sono come imbambolati. Scorrono le immagini, leggono con il traduttore, navigano ore e ore… Stanno imparando le usanze dei bianchi”. Sì, le usanze dei bianchi. Tornare indietro, però, è impossibile: “Per favore non toglieteci internet”, dicono gli abitanti del villaggio. Il rischio ora è che le conoscenze e gli usi costruiti e tramandati nel corso di secoli, con l’uso massiccio di telefonini e social, vadano perduti. Grande turbamento viene anche dalla violenza e dalla pornografia online. “Siamo preoccupati che i giovani vogliano provarlo”, dice uno dei capi della tribù riferendosi al sesso rappresentato nei video.[1]
Ecco la grande abbuffata. Altrettanto pericolosa del rimpinzarsi di cibo oltre ogni misura. Noi la conosciamo bene. Sappiamo cosa sia la dipendenza da cellulare: la viviamo nelle nostre famiglie. Adulti e ragazzi. Bambini. Isolamento sociale, solitudine, assenza e perdita di relazioni umane. E da noi Internet è entrata, piano piano, nell’arco di trent’anni. È il ’94 infatti quando nasce il www (Word Wide Web Consortium). Nonostante quest’ingresso graduale, sappiamo tuttavia quanta dipendenza patologica sta colorando il nostro mondo. Gli hikikomori non sono solo in Giappone. Non c’è una volta, negli incontri mensili che facciamo tra colleghi per un confronto sui casi clinici che ciascuno di noi incontra nel suo studio, in cui qualcuno di noi non deve affrontare una situazione del genere. Ragazzi o giovani, donne e uomini, che si rinchiudono per ore e ore sulla rete. O addirittura nella loro camera, senza uscire neppure per andare a mangiare, a tavola, con i familiari.
I Marubo di oggi mi richiamano quanto succedeva tra le popolazioni indigene dell’America settentrionale, nel XIX secolo, invase dai superalcolici portati dai pionieri bianchi… Con una buona notizia, tuttavia, ci lascia il NYT. Con saggezza i capi tribù ora stanno mettendo limiti di tempo all’uso del web e dei social: poche ore al giorno, il mattino e la sera, così che ciascuno possa svolgere il lavoro necessario per la vita delle comunità.
Dai Marubo un insegnamento. Riusciremo anche noi a ritrovare quel po’ di saggezza sufficiente per… darci una regolata, noi e i nostri ragazzi?
[1] NYT, 2 giugno
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V'invitiamo a leggere: Quousque tandem? 2024, Vietato ai minori di 14 anni 2022, Internet, il quarto paese 2021, Telefonini & C. 2019 (con relativi rimandi)