Agli inizi del VI secolo nella Chiesa nasce una norma, tuttora presente nel Codice di Diritto Canonico (l’insieme delle norme che regolano le relazioni all’interno della Chiesa cattolica). La norma dice: Prima sedes a nemine iudicatur. Tradotto: La prima sede (cioè il Papa) non può essere giudicata da nessuno (Can. 1404). Allora, giovane studente di teologia, m’aveva molto colpito quando me l’ero trovata davanti la prima volta. Mi sembrava un sopruso, e mi chiedevo: e se il papa dovesse sbagliare o commettere qualche irregolarità o reato, visto che anche lui è un essere umano? Non vi racconto lo sguardo e le parole del professore…
Questi giorni, con le vicende di un ministro sotto processo e del centro migranti in Albania, m’è ritornata in mente. Perché temo che sia a questo principio, non esplicitato ovviamente, tantomeno in latino – e chi conosce più il latino! – che certa nostra politica sembra appellarsi: chi è al governo a nemine iudicatur, non può essere giudicato da nessuno.
Due considerazioni, allora.
La prima. Non è la prima volta che un ministro della repubblica si trova sotto processo perché qualche suo atto potrebbe configurarsi come reato. E non capisco perché, nel dubbio o nel sospetto, un ministro o un membro del governo, o del parlamento, non debba risponderne di fronte alla legge. Come qualsiasi altro cittadino. Lo dico con tutta la solidarietà umana verso chi si trovi ad affrontare un processo. Nel rispetto, scontato, del principio che ciascuno è innocente fino ad eventuale sentenza di condanna definitiva.
L’altro pensiero. Tutti, credo, ci troviamo d’accordo nel vedere una differenza sostanziale tra regimi totalitari e democrazie. Nessuno, restando in piedi l’attuale regime, in Iran metterebbe sotto processo Khamenei: è la guida suprema, fonte e sede lui stesso di ogni norma e di ogni legge. Diverso per Netanyahu: in una democrazia, com’è Israele, anche il capo del governo deve rispondere alle leggi dello Stato. Augusto o Tiberio o Caligola, e tutti i vari prìncipi che si sono succeduti, non avevano una legge sopra di loro. Omicidi di avversari o nemici politici, colpevoli o anche solo sospetti, fino ad arrivare a matricidi uxoricidi fratricidi erano nella norma per un imperatore. Padrone assoluto della vita e della morte dei suoi sudditi. Salvo poi ritrovarsi lui stesso vittima di una qualche congiura.
Ma è proprio qui la differenza tra dittatura e democrazia. Nel regime totalitario chi ha il potere è al di sopra di ogni norma, di ogni legge. La legge è lui. In una democrazia chi ha il potere, meglio sarebbe dire chi ha il compito di governare, lo fa in nome di un popolo che glielo affida. Ma sopra di lui rimane la legge. Quella propria di uno Stato e quella che il medesimo fa sua, come ad esempio, per noi, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (UDHR, Universal Declaration of Human Rights) proclamata, 1948, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
È ormai un classico citare Winston Churchill. Secondo lui la democrazia è la peggior forma di governo possibile, ad eccezione di tutte le altre. E quali sono tutte le altre, se non i regimi totalitari? Che poi il re o l’imperatore, il faraone o lo zar o il presidente (a vita) portino ragioni diverse per giustificare il potere racchiuso nelle loro mani, fa poca differenza. Nella storia non è mancato chi, a sostegno del suo potere assoluto, chiamasse in causa perfino Dio. Dalla famosa dichiarazione attribuita a Napoleone durante l’incoronazione a Milano, Dio me l’ha data guai a chi la tocca, agli imperatori di Roma che elevavano sé stessi a divinità cui tributare incensi e onori riservati agli dèi dell’Olimpo.
Grande Atene che, ben oltre duemila anni fa, aveva scoperto la democrazia. Non proprio universale, per la verità: le donne, ad esempio, non avevano voce in capitolo. Ma questo è un discorso altro, che magari riprenderemo. Del resto, in Italia il voto alle donne, attivo e passivo, è arrivato poco più di settant’anni fa. Era il 1946.
Sì, lontani siamo andati. Nella storia. Non per sfuggire al momento presente. Piuttosto triste, per la verità. Ma per dirci che bisogna restare vigili di fronte a possibili rigurgiti del passato. Momento triste perché sembra, certe volte, d’essere come quei criceti che corrono corrono corrono, ma non arrivano da nessuna parte. Non è possibile, in pieno XXI secolo e in un’Europa culla e patria della democrazia, che ancora chi è eletto dal popolo, più ancora se al governo, si ritenga superiore alle leggi dello Stato. La divisione dei poteri, legislativo (parlamento) esecutivo (governo) e giudiziario (magistratura), dovrebbe essere un dato acquisito. Con riconoscimento e rispetto reciproco. Istituzionale e personale. Ma sembra sia ancora tanta la strada da fare. Il pericolo è confondere governare con comandare.
Noi, intanto, vediamo di restare svegli.
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