VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

24 nov 2024

25 novembre. Giornata contro la violenza sulle donne

Le religioni degli uomini maschi

Non bullismo o stalkeraggio, né stupri o femminicidi, oggi. E non perché questi non siano problemi seri, meno ancora perché dai numeri arrivino segnali incoraggianti. Nonostante il tanto parlarne, i dati continuano a presentarsi drammatici. A umiliazione e vergogna per noi uomini maschi. È in una dimensione della cultura molto particolare che oggi proviamo ad entrare. Dimensione profonda e potente. La religione.

 

Umanità e senso religioso nascono e crescono insieme. Fin dalle origini homo sapiens, con gli occhi della consapevolezza, sente che la realtà di cui è parte non può esaurirsi nella sola dimensione del visibile. Le forze della natura, che sfuggono al suo controllo, sono per lui manifestazione di Qualcosa/Qualcuno che lo trascende. E di cui non ha una conoscenza diretta. In un primo tempo è la natura stessa, nelle sue manifestazioni, ad esser vista come una sorta di divinità. Piante, animali, il sole, la luna… tante presenze, misteriose e potenti. Poi, con l’avvio dell’agricoltura, 10mila anni fa, pian piano inizia a costruire sistemi di religione più organizzati e strutturati. E qui, con determinatezza, entra la differenziazione dei sessi. Nelle religioni politeiste il maschile e il femminile si esprimono in divinità. Dèi e dee convivono. Con una gerarchia. Zeus dei greci o Giove dei romani, primi dèi dell’Olimpo, sono divinità maschili. Con il passaggio al monoteismo, si fa inevitabile che il dio unico sia un maschio. Inevitabile perché i sapiens non fanno altro che riprodurre, anche nei cieli, la medesima gerarchia che vivono sulla terra. Tra gli animali e tra gli umani è il maschio il più forte. Il più potente. Come può essere diverso oltre il cielo?

 

E arriviamo a noi. Alle nostre radici. Tra il 2° e il 1° millennio a.C. incontriamo Abramo. Pastore nomade, padre degli arabi, con Ismaele, e padre degli ebrei, con Isacco. Il progetto che il suo Dio rivela di voler realizzare con lui e con i suoi discendenti passa di padre in figlio. Da Abramo a Isacco a Giacobbe. Le donne sono sì parte della storia, ma solo in quanto servono perché i maschi abbiano una discendenza. E Yahweh, questo il nome con cui i figli dei suoi figli conosceranno Dio, viene presentato come lo sposo del popolo che, a sua volta, ne è la sposa. Su quest’immagine si fonda la storia tra il Dio di Abramo e il popolo ebraico suo erede. (Gli arabi, pure suoi figli, in questa storia si perdono fino a diventare addirittura gli avversari, i nemici). Se Dio è maschile, diventa inevitabile che tra gli umani sia il maschio, a Lui simile, ad avere il primo posto. Nella religione come nella società. Nel tempio di Gerusalemme, centro della vita religiosa e politica fino a quando nel 70 le legioni di Tito non lo distruggeranno, le donne possono accedervi, ma solo fino ad un certo punto. All’atrio delle donne. Non oltre. La porta dorata che permette di avvicinarsi al luogo della presenza (shekhinah) di Dio, solo agli uomini è consentito attraversarla. Ed ecco che il cortocircuito si chiude: Dio è al maschile perché nella natura è il maschio il più forte; l’uomo maschio è privilegiato perché anche Dio è maschio, come lui.

Anche nell’Islam, che nasce nel VII sec. d.C. con il Corano di Mohamed, l’immagine di Allah è al maschile. Non a caso sono gli uomini che costruiscono e dettano le leggi e le regole. Nella religione come nella società civile. Strettamente vincolate l’una all’altra. Iran, Afghanistan e tutti i paesi islamici, pur con differenze anche notevoli tra loro, concordano su questa gerarchia: l’uomo è superiore, la donna gli è subordinata.

 

Il cristianesimo, che cresce e si struttura nell’incontro tra il pensiero ebraico e la cultura greco romana, continua su questa scia. E ciò, nonostante il fatto che Gesù di Nazareth, da cui il movimento cristiano prende origine, collochi donne e uomini esattamente sullo stesso piano. Figlie e figli, entrambi, dell’unico Padre-e-Madre di tutti. Ma il maschilismo, di cui erano intrise le sue radici culturali, prevale. E con l’assenza fisica di Gesù i discepoli non fanno alcuna fatica a recuperarlo e a strutturare il movimento restituendo all’uomo maschio il suo privilegio. Senza rendersi conto dell’impoverimento cui lo destinano: dal momento che nella nostra cultura all’uomo è delegato il pensiero e alla donna la trasmissione e la cura della vita, un cristianesimo al maschile rischia di ridursi ad un insieme di dottrine e di regole piuttosto che essere per il mondo messaggio di Vita. Giungendo in questo modo ad offuscare, perfino a tradire, l’insegnamento del Maestro.

 

Anche questo è violenza contro le donne. Tanto più pericolosa quanto meno ne siamo consapevoli. Gli stereotipi culturali, a protezione dei quali mettiamo perfino le religioni, sono così radicati nelle profondità della storia, che facciamo fatica anche a vederli. E così potere maschile e subordinazione della donna proseguono. Indisturbati…

 

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