5 mag 2024
Affidamento condiviso non significa pari collocazione
Prima i genitori o prima i figli?
Da un articolo su un quotidiano: In Italia i figli di genitori separati sono tra i più infelici d'Europa. Nel sommario: Uno studio pubblicato da Demographic Research su oltre 9mila bambini europei mostra che nel nostro Paese solo il 2,6% delle coppie vive un affido congiunto "equo", mentre la Svezia è al 42,5%.[1] Nel testo poi spiega cosa s’intende per affido congiunto equo: l’affidamento congiunto può essere considerato equo se i bambini passano 15 notti al mese con un genitore e 15 con l’altro, non equo quando i bambini trascorrono da 10 a 14 notti al mese con un genitore e da 16 a 20 notti con l'altro. Così convinto sembra l’autore dai dati di questa ricerca che a un certo punto scrive: solo se equo, cioè davvero strutturato per assicurare ad entrambi i genitori pari diritti e pari doveri, l’affido condiviso funziona. E siamo arrivati! Arrivati dove? direte. Dentro quella che dovrebbe essere la domanda centrale. Che non ci facciamo (quasi) mai: nelle separazioni mettiamo prima i diritti dei genitori o i diritti dei figli?
Intanto chiariamo due concetti che qui mi sembrano piuttosto confusi: affidamento e collocazione. Affidamento significa riconoscimento della responsabilità genitoriale (un tempo dicevamo patria potestà) all’uno o all’altro genitore, o a entrambi. Da noi il diritto di famiglia prevede di norma l’affidamento congiunto, o condiviso: entrambi i genitori hanno il dovere/diritto (prima dovere, poi diritto) di prendersi cura dei figli, anche quando sono separati o divorziati. L’affidamento esclusivo è il riconoscimento del dovere/diritto di prendersi cura del figlio ad uno soltanto dei genitori; viene deciso dal giudice in presenza di una grave carenza, seria inadeguatezza, da parte di uno dei due. Può essere temporaneo o, in casi estremi, anche definitivo. Altro è la collocazione. Indica qual è l’abitazione principale di un bambino. Se non sono i genitori a costruire un accordo, è il giudice che decide. In presenza di bambini, o comunque di figli minorenni, di norma è la casa familiare quella in cui hanno diritto a rimanere i figli. E con loro il genitore presso cui questi sono collocati. In sede di separazione vengono definiti anche i tempi che il figlio condivide con l’altro genitore.
Facciamo bene attenzione ad un concetto che l’articolista propone rifacendosi allo studio di Demographic Research. Affidamento congiunto equo. Spiega che solo se un figlio trascorre pari tempo con ciascuno dei genitori possiamo usare questa parola. Non solo. Sottolinea che solo in questa condizione un figlio di genitori separati può essere sereno. Di più, felice. I figli dei genitori separati italiani, infatti, sarebbero i più infelici proprio perché in grande maggioranza non condividono un tempo uguale con la mamma o con il babbo.
Mi chiedo se chi sostiene questi pensieri abbia mai incontrato figli di genitori separati. Siano essi bambini o anche adolescenti. Proviamo ad immaginare quanto possa essere felice un figlio che si vede costretto, ogni due tre giorni o ogni inizio o fine settimana, a prendere la sua valigia i suoi libri le sue cose e partire per cambiare casa. Una volta dal padre, la volta dopo dalla madre. Così, fin quando non sarà maggiorenne e potrà decidere da solo. Proviamo, per un momento, ad immaginare noi di doverci trasferire ogni settimana da una casa ad un’altra: instabilità insicurezza precarietà confusione diventerebbero le costanti nella nostra vita. Perché non dovrebbe essere così per un/a bambino/a o un ragazzo, una ragazza? Più volte ne abbiamo parlato. Evidenziando, anche con esempi presi dal quotidiano oltre che dalla clinica, lo stato di disagio che vivono quei figli che si vedono costretti a questo continuo trasbordo da una casa all’altra.
Perché allora quest’idea del pari tempo viene tanto sponsorizzata? Due le ragioni principali. La prima: noi adulti (quasi) sempre mettiamo prima i nostri diritti, poi quelli dei figli. Io ho diritto a stare con mio figlio tanto quanto te! è il mantra che accompagna le separazioni. Dimenticando, così, che invece è il figlio che ha diritto ad avere entrambi i genitori; e nello stesso tempo a vivere una sufficiente stabilità senza dover fare il piccione viaggiatore. L’altra ragione, più terra terra, ma anche più potente: a parità di collocazione (stesso tempo con l’uno e con l’altro), nessuno dei due dovrà versare all’altro l’assegno di mantenimento per i figli. E quando si toccano i soldi…
Concludo. La serenità di un figlio di genitori separati – la felicità!? – non ha niente a che vedere con il pari tempo. Essa è strettamente dipendente dalla qualità (serena, conflittuale?) della relazione che i due ex coniugi sanno mantenere. Perché, anche se divorziati, per un figlio i suoi genitori rimangono sempre la sua famiglia.
[1] L. Moia, Avvenire, 18 aprile
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