8 dic 2024
Una lettera a Papa Francesco leggendo la sua ultima enciclica
Tra mente e cuore
Caro Francesco,
prima di tutto grazie per quest’ultima lettera che ci hai scritto. Dilexit nos, ci ha amati. Riporti al centro dell’attenzione la parola cuore. E ti chiedi, molto giustamente, se oggi questa parola abbia un significato tuttora valido. Domanda più che legittima. E risposta che ha bisogno d’essere riscoperta. Forse meglio, ricostruita. Ma tanto è il bisogno di ritrovarla, che la ricerca rischia di diventare affanno. A volte angoscia. Così, corriamo corriamo, senza però veder bene la direzione. E qui non aggiungo altro: le analisi che ci proponi sono così ampie che abbiamo bisogno di fermarci a leggerle, ascoltarle, farle entrare nel cuoree misurarci con esse. Solo una considerazione provo a proporti.
Scrivi, poco dopo l’inizio: La svalutazione del centro intimo dell’uomo, il cuore, viene da più lontano: la troviamo già nel razionalismo greco e precristiano, nell’idealismo postcristiano e nel materialismo nelle sue varie forme. Il cuore ha avuto poco spazio nell’antropologia e risulta una nozione estranea al grande pensiero filosofico.[1]
Se guardiamo i primi passi del cristianesimo, quando i discepoli di Gesù iniziano a portare al mondo il suo messaggio, una cosa colpisce: mentre nella comunità del Maestro uomini e donne hanno la medesima dignità, subito dopo, il maschilismo, intrinseco al pensiero ebraico e alla cultura greco romana, prende il sopravvento. E dire che Gesù addirittura privilegia le donne: le incontra per prime, prima ancora di Pietro o di altri discepoli maschi, nella nuova dimensione di Risorto, e affida a loro, alle donne, il compito di annunciare quest’avvenimento straordinario agli altri discepoli. Ma una volta partito Lui, asceso al cielo dice la Parola, tutto viene rimesso come prima: la donna in subordine. E così è andata avanti la storia della chiesa in questi duemila anni. E così tutt’oggi continua.
Tu fai riferimento al razionalismo greco e sottolinei come il cuore sia estraneo al grande pensiero filosofico. Certo, per i greci l’ideale dell’uomo è il filo-sofo, colui che ama e cerca la sapienza, non il fil-antropo, colui che ama e cerca l’altro.
Ora, noi sappiamo che propria della nostra cultura è una particolare distinzione: dell’uomo è il pensiero, della donna è l’affettività, il cuore. Lo so, quest’affermazione, scritta così, è tagliata con l’accetta, e vorrebbe libri su libri di approfondimento. Ma il fatto che la religione cristiana per tanto, troppo tempo sia stata un insieme di dottrine e di regole più che un messaggio di Vita per il mondo dovrebbe farci riflettere. Non è questo, infatti, il Vangelo. A mio parere non è affatto estraneo a questo fenomeno che lo spazio dell’uomo e della donna sia così disomogeneo e ìmpari dentro la chiesa. Allo stesso modo in cui il maschile è prevalso sul femminile, così la dimensione filosofico-dottrinale ha preso il sopravvento sul messaggio esistenziale di vita e di amore. Abbiamo bisogno di rifletterci. Perché, secondo me, possiamo essere certi di una cosa: finché nella chiesa non restituiamo alla donna la medesima dignità e lo stesso spazio che ha il maschile, la dottrina continuerà a prevalere sul messaggio di Vita. Cioè sull’Amore.
Faccio un esempio. Solo questo, per oggi. La domenica, a messa, ci viene proposto il Credo. Subito dopo l’ascolto del Vangelo. A mo’ di risposta alla Parola che abbiamo incontrato. Guardiamola questa formula. 204 parole ci sono, congiunzioni e articoli compresi. Contiene per caso la parola amore, o cuore, o il verbo amare? No. È un trattato di filosofia: onnipotente, persona, sostanza, generato, non creato, procede, Dio da Dio, ecc. C’è qui il centro della nostra fede, che è adesione all’Amore del Padre-e-Madre che ci ha fatto conoscere Gesù? No. Questa formula è scritta con la sola intelligenza. Ma, come tu ci ricordi, senza il cuore ci sono risposte che l’intelligenza da sola non può dare.
Caro Francesco, il maschilismo nella chiesa è imperante. Pervasivo. Al punto che, indisturbato, è divenuto pian piano clericalismo. Una sorta di mutazione. In una relazione di reciproco e perpetuo sostegno. E nutrimento. Più volte ci hai messi in guardia da questo pericolo. Ma tu sai bene che anche le parole più forti, pur dette da una persona autorevole, rimangono parole se non sono seguite da trasformazioni concrete. Da una prassi. Ci hai detto che non è ancora maturo il tempo perché la donna possa accedere al sacerdozio ministeriale. Magari iniziando con il diaconato. Ti dirò, io ho un dubbio: prematuro lo è per certa chiesa gerarchica. Quella che più spesso ti sta intorno. Non per la comunità dei credenti. Quella che il Concilio chiama il popolo santo di Dio.
Già Platone, che pure citi in questa tua enciclica, per conoscere l’amore chiama in causa la donna. E con Diotìma, molto dotta sull’argomento, avvia il suo dialogo. Fu lei, scrive, a istruirmi sulle questioni d’Amore.[2] Potrà anche la nostra chiesa ritrovare la donna e restituirle quella pari dignità con cui la guardava il Maestro? Allora sì, secondo me, che alla parola cuore potremo restituire un significato tuttora valido.
Grazie.
[1] Dilexit nos, 10
[2] Simposio, XXII
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